mercoledì 1 aprile 2020
Torna in libreria il saggio di Cochrane sui rapporti fra cristianesimo e cultura classica. La nuova religione divenne l’ancora di salvezza del mondo antico che si stava sfaldando
Icona ortodossa bulgara con l'imperatore e la madre Elena e la Vera Croce

Icona ortodossa bulgara con l'imperatore e la madre Elena e la Vera Croce - WikiCommons

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Opportunamente il cardinal Ravasi, in uno dei suoi recenti articoli sul Domenicale del “Sole24Ore”, ricordava come una lettera di Plinio il Giovane del 110–111 d.C. sia uno dei primi documenti storici attestanti la rilevanza del cristianesimo. Scrivendo all’imperatore Traiano, il nipote del naturalista morto nella tragica eruzione del Vesuvio del 79 metteva in guardia da quella che giudicava «una superstizione perversa e sfrenata». Ma non poteva al contempo non riconoscere la novità di vita condotta dai discepoli di Cristo, segnalando come fosse loro «consuetudine riunirsi prima dell’alba di un giorno stabilito (la domenica), recitare a turno un inno a Cristo come se fosse un dio e impegnarsi con un giuramento non a compiere qualche delitto, ma a non commettere né furti, né rapine, né adulteri, a non tradire la parola data e a non negare la restituzione di un deposito se fosse stato loro richiesto. Al termine di queste cerimonie se ne andavano e si ritrovavano per consumare un pasto, usuale e innocuo». Si tratta della lettera catalogata X, 96 e rientra all’interno dell’epistolario pliniano costituito di oltre 350 lettere giunte sino a noi. Testimonianza della critica severa da parte dell’èlite romana verso i cristiani, una critica che in molti casi non poteva nascondere un senso di ammirazione.

Come avrebbe fatto due secoli e mezzo dopo Giuliano l’Apostata: pur denigrando il culto cristiano e cercando di ripristinare l’antico paganesimo rinnegando Costantino e i suoi successori, fu costretto ad ammettere che i suoi rivali nella fede compivano un’opera caritativa considerevole, aperta non solo ai propri fedeli ma a tutti i poveri e gli indigenti. È lunga la scia degli studi che si sono occupati del confronto fra paganesimo e cristianesimo, che come abbiamo visto nei primi tempi assunse le caratteristiche di un vero e proprio scontro con ondate di persecuzioni messe in atto dagli imperatori. Si va dai classici Burckhardt e Gibbon, più portati ad accusare la nuova religione di aver provocato il crollo dell’impero romano, a Mazzarino, Marrou, Jaeger, Dodds e Momigliano, più propensi a valorizzare l’apporto cristiano alla civiltà occidentale.

Ora le Edizioni Dehoniane di Bologna rimandano in libreria un saggio importante dedicato alla questione: si tratta di Cristianesimo e cultura classica di Charles Norris Cochrane (pagine 686, euro 38), a lungo professore di Storia antica all’università di Toronto. Uscito per la prima volta nel 1940, il testo in Italia fu tradotto nel 1969 proprio da Edb con un’introduzione di Vincenzo Cilento e dunque riappare 50 anni dopo nelle nostre librerie. Cochrane si cimenta in un’impresa ardua, «la trasformazione del mondo di Augusto e di Virgilio in quello di Teodosio e di sant’Agostino», e ripercorre i primi quattro secoli della nostra era descrivendo in maniera esaustiva la Weltanschauung dell’impero romano da Augusto a Costantino, che decretò la libertà religiosa, fino a Teodosio, che impose il cristianesimo come religione di stato, e oltre, indagando le dinamiche politiche, ma anche le tendenze culturali prevalenti. Se nel primo secolo le comunità cristiane si dimostrano piuttosto remissive verso l’impero pensando soprattutto a salvaguardare la propria esistenza, a poco a poco si affaccia anche una visione culturale su due linee: la prima critica il mondo classico perché pagano e violento, la seconda propende per il dialogo e cerca di trovare nel pensiero antico le idee più condivisibili.

Il confronto ha inizio con i Padri apologisti che perorano la causa del nuovo culto di fronte ai pagani colti, non tanto e non solo per convertirli, ma per porre termine alle persecuzioni. Così, a partire dal III secolo, i contatti fra i due mondi si infittiscono anche a livello culturale. Celso, uno dei primi intellettuali pagani a prendere sul serio i cristiani, teme che diventino uno Stato dentro lo Stato: Origene gli risponde, cercando di dare un sostrato filosofico alla religione. Se Tertulliano sostiene che è impossibile servire due padroni, Cristo e Cesare, Giustino si converte al cristianesimo dopo un sofferto itinerario di ricerca filosofica e Lattanzio valorizza Cicerone e gli stoici. L’apertura a tutti i ceti sociali e la promessa della vita eterna sono elementi che porteranno alfine il mondo romano a farsi cristiano. Un processo che verrà sancito da sant’Agostino, capace di elaborare una nuova filosofia della storia, completamente diversa da quella prevalente nel mondo antico e basata sui cicli. «Per i cristiani – scrive Cochrane – la teoria ciclica è quanto di più incompatibile si possa immaginare con tutto il loro modo di pensare». Agostino mette in chiaro che la storia umana non consiste in una serie di modelli che si ripetono, ma è il manifestarsi del disegno divino e si delinea come un sicuro, anche se incostante, progresso verso una meta finale. Il cristianesimo diviene l’ancora di salvezza del mondo antico che si stava sfaldando e consentirà la nascita dell’Europa, basata sulle radici greco–romane ed ebraico– cristiane, come oggi la conosciamo.

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