sabato 6 novembre 2021
L’autore argentino di "La parte narrata" ospite di Incroci di civiltà a Venezia: «Perfino i miei personaggi si rendono conto che l’amore per il figlio è più forte della passione per la scrittura»
Lo scrittore argentino Rodrigo Fresán

Lo scrittore argentino Rodrigo Fresán - Alfredo Garófano /Systema/Incroci di Civiltà

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Incalzato da messaggi che rettificano indirizzi e telefonate che precisano orari, l’intervistatore solleva lo sguardo perplesso verso l’intervistato: «Si rende conto – gli dice – che questa potrebbe essere la scena di un suo romanzo?». Rodrigo Fresán non si scompone, limitandosi a un laconico «Spiacente», ma si capisce che è divertito dalla situazione e forse anche un po’ lusingato. «Io non scrivo libri complicati – rivendica –. Evito di annoiarmi, semmai». Nato a Buenos Aires nel 1963, Fresán vive a Barcellona dal 1999. «Gli spagnoli mi considerano troppo argentino e gli argentini troppo spagnolo – commenta –. Finora i riconoscimenti più importanti mi sono venuti dalla Francia e dal mondo anglosassone. E questo, sinceramente, turba un po’ il mio amor proprio. Sa, non vorrei che i miei traduttori scrivessero meglio di me».

Ospite del festival veneziano Incroci di Civiltà, Fresán ama scherzare e lo fa con tutta la serietà che un bambino metterebbe nei suoi giochi. L’infanzia, i rapporti familiari, gli affetti sono i temi fondamentali della sua opera, solo in parte edita nel nostro Paese. I diritti del suo prossimo romanzo, Melvill, sono stati acquisiti da Mondadori, che già nel 2006 aveva pubblicato I giardini di Kensington, ispirato alla figura di Peter Pan. «Quella senza la "e" è invece la versione originale del cognome dell’autore di Moby Dick, poi modificata per far perdere le tracce ai creditori del padre», spiega.

Citazioni e rimandi letterari svolgono un ruolo decisivo anche nella trilogia La parte narrata , il cui primo volume, La parte inventata, è uscito un paio di anni fa presso la torinese LiberAria (traduzione di Giulia Zavagna, pagine 702, euro 25,00). Poi sviluppata nei successivi La parte sognata e La parte ricordata, la vicenda dello scrittore che si interroga sul proprio lavoro e intanto si confronta con l’inatteso successo dei libri della sorella Penélope ha la vastità di un’epopea proustiana, condotta però con gli strumenti del XXI secolo.

Anche in questo senso, Fresán appartiene a quella schiera di scrittori – il rumeno Mircea Cartarescu, l’ungherese László Krasznahorkai, il francese Mathias Énard e altri ancora – che continuano a sostenere le ragioni del racconto d’invenzione. «Non ho nulla contro la cosiddetta autofiction – dichiara –, se non altro perché è sempre esistita. Dickens la pratica in David Copperfield, Borges la reinterpreta a modo suo e ogni scrittore, in definitiva, parla sempre di sé e in particolare della propria infanzia. Le esperienze dei primi dodici anni sono le più importanti della nostra vita e, se qualcuno sostiene il contrario, bisogna diffidare di lui, perché sta mentendo».

Il romanzo gode di buona salute, insomma? «La grande letteratura non ha mai avuto tanti lettori quanti ne ha oggi – replica sicuro Fresán –, il problema sta piuttosto nella qualità dei best seller, che negli ultimi anni si è molto abbassata. Fino a qualche tempo fa erano romanzi che riuscivano a intrattenere anche il pubblico più esigente, adesso sono spesso prodotti grossolani e puerili. Ma il fenomeno più preoccupante, a mio avviso, sta nel proliferare di libri che, attraverso la simulazione di uno stile artefatto, usurpano il ruolo della letteratura. Questi impostori sono i più pericolosi, perché dietro una parvenza artistica si adeguano ai criteri della serialità televisiva o della rappresentazioni di sé così come viene favorita dai social media. Non è un giudizio di valore, sia chiaro. Ci sono serie tv eccellenti e la rete può permettere incontri e scambi tutt’altro che banali. Il punto è che non si capisce come mai la letteratura dovrebbe rinunciare alla dimensione di complessità che le è caratteristica. Resto del parere di Vlamidir Nabokov: quando gli si faceva notare che la sua prosa rischiava di risultare faticosa alla lettura, lui rispondeva che non poteva essere altrimenti, considerata la fatica che aveva fatto a scriverla».

Nella Parte inventata Fresán ricorre spesso alla tecnica del biji, il “libro di appunti” elevato a genere letterario dalla letteratura cinese classica: brevi annotazioni diaristiche, riflessioni di poche righe, spesso meri elenchi di nomi e di eventi. «È un modo di scrivere che mi viene naturale, perché rispecchia il mio modo di pensare – ammette l’autore –. Uno dei maggiori vantaggi del web consiste nel fatto che qualsiasi persona si trova nelle condizioni che uno scrittore sperimenta durante la stesura di un libro. Si passa da un’informazione all’altra, una notizia nella quale ci si è imbattuti per caso scatena la curiosità per argomento altrimenti ignorato, l’intuizione può scaturire dalla giustapposizione tra una parola e un’immagine. Riprodurre questo processo costituisce la forma più radicale di realismo. Amo moltissimo Tolstoj, ma non mi è mai capitato di percepire la realtà come viene descritta in Anna Karenina. Certe folgorazioni di William Burroughs sono molto più vicine alle nostre sensazioni abituali di quanto si sia solitamente disposti ad ammettere. Questa duttilità espressiva, del resto, appartiene fin dalle origini al romanzo. Pensiamo alla struttura metaletteraria del Don Chisciotte di Cervantes o alle irruzioni dello stesso Melville all’interno di Moby Dick. Prima ancora, pensiamo allo stratificarsi di livelli narrativi nella Bibbia».

Un romanzo ha una struttura, ha uno stile. Ma più che altro indaga un mistero: «Perfino il protagonista della Parte narrata si rende conto che l’amore per il figlio è più forte della passione per la letteratura – conclude Fresán –. Anche per lui, come per ciascuno di noi, i sentimenti diventano la forma d’arte più alta. Anzi, sono l’unica arte davvero necessaria».

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