venerdì 24 agosto 2018
Il film “What You Gonna Do When the World’s on Fire?" in concorso a Venezia è anche un j’accuse al governo di Trump e mette in guardia l’Europa dall’odio razzista
Una scena di “What You Gonna Do When the World’s on Fire? di Roberto Minervini che sarà presentato alla Mostra del Cinema d Venezia

Una scena di “What You Gonna Do When the World’s on Fire? di Roberto Minervini che sarà presentato alla Mostra del Cinema d Venezia

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Che cosa fare quando il mondo è in fiamme? La domanda di Roberto Minervini è secca e dà il titolo al film con cui il 48enne regista e documentarista italiano, che vive negli States, porta in concorso alla 75ma Mostra del Cinema di Venezia (29 agosto - 8 settembre), dove verrà proiettato il 2 settembre What You Gonna Do When the World’s on Fire? – Che fare quando il mondo è in fiamme?.

Si tratta di uno dei tre film italiani in gara insieme a Suspiria di Luca Guadagnino e Capri-revolution di Mario Martone. Quella di Minervini, che è anche sceneggiatore e docente, è una riflessione sul razzismo in America, e insieme il ritratto intimo di una comunità che nell’estate del 2017, dopo che una serie di brutali uccisioni di giovani africani da parte della polizia ha scosso tutti gli Stati Uniti, combatte per la giustizia, la dignità e la sopravvivenza in un Paese che sembra non stare dalla sua parte.

A intrecciarsi varie storie: Judy cerca di mantenere a galla la propria famiglia allargata, mentre gestisce un bar minacciato dalla gentrificazione. Ronaldo e Titus, due giovanissimi fratelli, crescono in un quartiere afflitto dalla violenza, mentre il padre è in prigione. Kevin, Big Chief della tradizione indiana del Mardi Gras, ovvero il capo del carnevale nero di New Orleans, lotta per mantenere vivo il patrimonio culturale della sua gente attraverso i rituali del canto e del cucito. Infine, il gruppo rivoluzionario delle Black Panthers indaga sul linciaggio di due ragazzi nel Mississippi, mentre organizza una protesta contro la brutalità della polizia.

Nell’attesa di vedere il film al Lido (coproduzione Italia/Usa/Francia con la partecipazione di Rai Cinema), il regista anticipa le motivazioni che lo hanno spinto a girare: «Ho voluto scavare alla radice della disuguaglianza sociale nell’America di oggi – spiega nelle note di regia – , concentrandomi sull’irrisolta, cronica questione razziale nei confronti degli africani americani. La mia speranza è che il film susciti un dibattito necessario sulle attuali condizioni dei neri americani che, oggi più che mai, assistono all’intensificarsi dei crimini motivati dall’odio e delle politiche discriminatorie».

Un j’accuse all’America di Trump, che mette in guardia anche l’Europa e l’Italia affinché non scivolino nella trappola dell’odio razziale, spesso strumentalizzato dalla politica. I numeri del fenomeno negli States li dà lo stesso Minervini che firma un lungo articolo in esclusiva sul numero di settembre della Rivista del Cinematografo che ne fornisce una anticipazione.

Il cineasta italiano racconta la sconfitta del popolo americano: quella del ritorno del razzismo, dell’odio dei bianchi verso i neri. Ecco i numeri: «Gli afroamericani ammontano a 40 milioni (pari al 12% della popolazione Usa), dei quali 10 milioni vive ben al di sotto della soglia di povertà, 4 milioni sono ufficialmente disoccupati e 1 milione è rinchiuso in carcere. Il numero 39 si riferisce invece ad uno dei fenomeni politici e sociologici più discussi dell’America post-Jim Crow (leggi locali e dei singoli Stati degli Usa emanate fino al 1965 per mantenere la segregazione razziale): i crimini delle forze dell’ordine nei confronti dei neri», dice il regista.

E nel 2018 i neri uccisi dalla polizia sono già 69. L’escalation di violenza, aggiunte il regista, è iniziata due anni fa, nel luglio 2016, con le uccisioni a sangue freddo per mano delle forze dell’ordine di persone di colore disarmate, come Aston Sterling in Louisiana e Philando Castile a Minneapolis. Le rivolte contro la polizia per vendicare le vittime (come quella di Charlotte, in North Carolina) hanno riempito le pagine di cronaca: «Per quanto mi riguarda, i ricordi di tale periodo sono legati non solo agli efferati scontri tra neri e polizia, ma anche e soprattutto alla ricomparsa in pompa magna di un sentimento popolare che pareva essersi estinto: la “paura dell’Uomo Nero”», racconta Minervini. Il problema ha origini storiche mai sopite nel tempo, come dimostrano le statistiche, in base alle quali il 32% degli omicidi perpetrati dalla polizia negli States sono ai danni degli afroamericani.

L’analisi dell’autore per la Rivista del Cinematografo di settembre, prosegue ancora ragionando sull’era Trump, sulla rinascita del Ku Klux Klan, delle Black Panthers, con le loro azioni di protesta e l’attività investigativa, tutte cose che racconta nel film. Minervini, prosegue, così, nella sua analisi senza filtri degli sconfitti del sogno americano e delle sue contraddizioni, con una particolare attenzione agli ultimi, come aveva già fatto nella cosiddetta “trilogia texana”, dove in pellicole come la docufiction Ferma il tuo cuore in affanno (portata a Cannes nel 2013) aveva descritto la convivenza tra giovinezza e religione nell’America rurale o in Bassa marea storia della solitudine di un dodicenne che vive con una madre single. Sino al duro Louisiana storia di emarginazione e di amore, protagonisti tossicodipendenti e paramilitari, dove il regista, come diceva nel 2015, voleva rappresentare «l’America più invisibile, l’America più significativa di oggi, più vitale e autodistruttiva».

Lavori dall’approccio documentaristico, realizzati attraverso la registrazione della vita quotidiana dei protagonisti, scrivendo il copione solo a fine riprese. L’attesa, quindi, per Che fare quando il mondo è in fiamme? è alta e potrebbe aggiungere un capitolo significativo alla lunga serie di film che hanno denunciato il razzismo verso i neri negli Stati Uniti. L’anno scorso, a Venezia, era toccato a George Clooney declinare il tema dirigendo lo spiazzante Suburbicon con Matt Damon e Julianne Moore, ipocriti borghesi in una cittadina di provincia anni ’50. Ora tocca a un italiano, che affronta la realtà con la poesia del bianco e nero, immergersi nella società americana per dare voce a chi rischia di averne sempre meno.

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