giovedì 16 settembre 2021
Il cardinale gesuita, morto il 17 settembre 1621, ebbe un ruolo fondamentale nel rinnovamento della Chiesa dopo Trento. Proclamato santo, fu grande teologo oggi con la fama scomoda di antieretico
Gian Lorenzo Bernini, busto funebre di Roberto Bellarmino

Gian Lorenzo Bernini, busto funebre di Roberto Bellarmino

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Il 17 settembre di quattro secoli fa si spegneva a Roma presso l’allora noviziato della Compagnia di Gesù a Sant’Andrea al Quirinale, il cardinale e futuro santo Roberto Bellarmino (1542-1621). Aveva quasi 79 anni e il suo nome era noto in tutta Europa. Moriva poveramente, austeramente come aveva vissuto e da 'semplice' gesuita, privo di tutti quei privilegi e ornamenti, tipici dei fasti del Papato dell’età barocca. Era ammirato dai cattolici del suo tempo e visto con sospetto, temuto e quasi detestato da chi non lo era: in particolare i luterani e i calvinisti. Famosa è ancora oggi la frase attribuita al suo primo biografo il gesuita Giacomo Fuligatti: Luteri errores ac astutias Calvini omnes delebis, «cancellerai tutti gli errori di Lutero e le astuzie di Calvino».

Tuttora la figura di Bellarmino, teologo raffinato e controversista di razza (efficacissimo nello studiare e scovare le contraddizioni di chi attaccava non solo il magistero, ma anche l’autorevolezza della Chiesa cattolica) è spesso associata, nella pubblicistica, al ruolo giocato durante il processo che portò alla morte, il 17 febbraio 1600, del filosofo nolano, già frate domenicano, Giordano Bruno – la cui sentenza definitiva fu elaborata sulla base di otto proposizioni estrapolate dai suoi scritti stilate proprio dal gesuita toscano nel gennaio 1599 – e al caso Galileo col famoso “ammonimento del 1616” (la condanna pontificia avvenne, dopo la scomparsa del cardinale, nel 1633). Significativo appare, a questo riguardo, il giudizio del suo più autorevole biografo, a noi contemporaneo, lo storico Franco Motta: «Decisamente il cardinale Bellarmino era ben lontano dal volere impartire a Galilei una lezione di metodo scientifico: davanti a un diverso regime di verità come quello della scienza sperimentale il suo richiamo fu comunque a una ragione superiore, la ragione dell’autorità».

Il controversista gesuita viene spesso ricordato come un santo in un certo senso “scomodo” per la mentalità odierna per essersi costruito la fama di autentico antemurale contro l’eresia. E proprio per sfatare questa aurea di santità ruvida e “scomoda”, in due ampi saggi apparsi su La Civiltà Cattolica, nel giugno e agosto scorso, il già vice direttore della rivista e storico di formazione Giancarlo Pani ha voluto mostrare la modernità di Bellarmino che fu canonizzato da Pio XI nel 1930 e proclamato dottore della Chiesa proprio il 17 settembre di 90 anni fa. Il saggio di padre Pani fa affiorare la pietas nascosta del cardinale, la sua attenzione alle scienze moderne: non era affatto digiuno di astronomia, né avverso alle teorie più avanzate del copernicanesimo; sarà lui, il gesuita e nipote di un papa, Marcello II, a introdurre e favorire l’insegnamento della matematica nell’allora Collegio Romano – (la Pontificia Università Gregoriana di quel tempo di cui oggi è il santo protettore) – dove figurava, tra i docenti più illustri, l’astronomo Cristoforo Clavio

A questo ritratto così singolare e “controcorrente” farà probabilmente cenno domani alle 18.30 per la celebrazione eucaristica a Roma in memoria e onore di Bellarmino nella chiesa di Sant’Ignazio di Loyola in Campo Marzio – dove riposano le sue spoglie mortali – l’attuale rettore della Pontificia Università Gregoriana, il gesuita portoghese Nuno da Silva Gonçalves. Quello di domani sarà il via ufficiale alle celebrazioni per i quattro secoli dalla nascita al cielo del santo gesuita: un anno speciale che reca un titolo programmatico San Roberto Bellarmino, cercatore della verità; la Gregoriana lo celebrerà con un convegno scientifico dal 17 al 19 novembre, a cui parteciperà, tra gli altri, l’attuale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (l’ex Sant’Uffizio di cui Bellarmino fu consultore ed esponente di punta per quasi tutta la sua vita) il gesuita spagnolo e cardinale Luis Ladaria Ferrer.

Ma chi è Roberto Francesco Romolo Bellarmino? Nasce il 4 ottobre 1542 a Montepulciano e giovanissimo, a quasi 18 anni, decide nel 1560 di entrare nella Compagnia di Gesù. Dieci anni dopo, nel 1570, viene ordinato sacerdote nelle Fiandre, a Gand. Fondamentali nella formazione teologico-filosofica di Bellarmino, profondo conoscitore del pensiero di san Tommaso d’Aquino, sono le tappe accademiche nelle università di Padova, Lovanio e il Collegio Romano di cui diventa poi rettore. Le sue lezioni da professore proprio al Collegio Romano forniscono la materia della sua opera più celebre e di successo, le monumentali Disputationes de controversis Christianae fidei huius temporis haereticos (1583-1593). La rapida fama del suo pensiero da allora si diffonde in tutta Europa. Ma strano a pensarsi, questa sua principale opera teologica le Disputationes – le Controversie – sarà oggetto di severe critiche che spingeranno il Papa di allora, il francescano conventuale Sisto V a ordinare di porla all’Indice dei libri proibiti perché la teoria del teologo gesuita della “ potestas indirecta” del vescovo di Roma contrastava la tradizionale dottrina della monarchia diretta del Pontefice sul mondo. Solo la morte di papa Peretti nel 1590, impedirà che Bellarmino venisse condannato.

Ma il destino del futuro santo è ormai segnato: diventa il principale consigliere teologico di Clemente VIII che lo eleva alla porpora (è il secondo cardinale, nella storia plurisecolare della Compagnia di Gesù, dopo Francisco de Toledo) nel marzo del 1599. E strategica sarà sempre la scelta di papa Aldobrandini di nominare il suo teologo di fiducia come membro della Congregazione De Auxiliis Divinae Gratiae per ricomporre l’annosa controversia teologica sorta tra i domenicani, fedeli seguaci dell’ortodossia tomista (guidati da Domingo Bañez) e i gesuiti (capeggiati da Luis de Molina), sui rapporti tra grazia efficace e libertà umana. La grande intuizione di san Roberto sarà quella di sospendere il dibattimento su questa controversia teologica tra libertà e grazia. Una soluzione che sarà sposata, con lungimiranza, dal successore di Aldobrandini, papa Paolo V.

Un capitolo certamente singolare della sua complessa esistenza sono i suoi tre anni come arcivescovo di Capua (dal 1602 al 1605) in cui come un “novello Carlo Borromeo” si spende per i poveri, per l’attenzione ai preti e per l’attuazione del Concilio di Trento. Campione della Controriforma, ritornato a Roma come cardinale di curia offre (1605) la sua arte dialettica in un’ultima controversia, un vero duello teologico, con l’allora re d’Inghilterra Giacomo I Stuart: in quel frangente Bellarmino ribadisce il primato della sovranità spirituale della Chiesa sul diritto divino dei re; la cultura popolare inglese sarà per decenni ossessionata da questa sua arte controversistica da chiamare col nome “ Bellarmines” addirittura i boccali di birra di foggia tedesca decorati col volto di un uomo barbuto.

Fedele all’Eucaristia quotidiana, a quattro secoli dalla sua scomparsa è giusto ricordarlo oggi anche come un grande formatore spirituale: sotto la sua guida furono orientati a un cammino di santità tre santi gesuiti: Luigi Gonzaga, Giovanni Berchmans e Andrea Bobola. Tra le grandi intuizioni del cardinale e dottore della Chiesa vi è anche la pubblicazione e promozione del Catechismo (formulato assieme a san Pietro Canisio) per aiutare il popolo ad assimilare le verità della fede. Il Catechismo di stampo bellarminiano avrà lunga vita e sarà soppiantato solo, a inizio del Novecento, da quello di san Pio X. Infine grazie alle sue teorie san Roberto sarà il principale ispiratore dell’infallibilità papale promulgata nel 1870 durante il Concilio Vaticano I da Pio IX. L’attualità del suo pensiero è ancora viva: basti pensare alla difesa della sua ecclesiologia che fece il perito al Concilio Vaticano II il gesuita olandese Sebastian Tromp. A quattrocento anni dalla sua scomparsa è forse oggi giusto ricordarlo, secondo la felice definizione del gesuita Ignacio Iparraguirre, come un «mistico del servizio».

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