mercoledì 1 febbraio 2017
A colloquio con la scrittrice Edith Bruck, moglie del poeta e regista. In un libro racconta di come la malattia di lui, «un mite disgustato dall’immoralità», abbia acuito il loro sentimento
Il poeta Nelo Risi (1920-2015)

Il poeta Nelo Risi (1920-2015)

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Vivere d’amore si può, lo testimonia Edith Bruck nel suo libro La rondine sul termosifone (La Nave di Teseo, pp.142, euro 16), un appassionato omaggio alla memoria del marito, il poeta Nelo Risi, morto a 94 anni nel settembre del 2015, in preda a una devastante demenza senile. «Da anni mi dicevano che stava per morire – racconta la scrittrice – ma io non mi sono rassegnata, ho fatto di tutto per tenerlo in vita giorno per giorno, anche così com’era ridotto mi bastava vederlo, averlo vicino ». Negli ultimi tempi ha sentito il bisogno di descrivere i loro giorni, i loro dialoghi sul filo dell’assurdo, le nuove sfumature di un rapporto tormentoso eppure dolce, angustiata anche dal dubbio di non avere il diritto di mettere a nudo le debolezze fisiche e mentali di un uomo sempre tanto schivo riguardo al privato. Così lo ha interpellato: «Voglio scrivere un libro su di te e me adesso». «Giusto» ha risposto lui «con un’espressione luminosa, cosciente ». Da questa approvazione è nata la cronaca di un grande amore vissuto tanto intensamente, che anche le ultime briciole contengono un valore inestimabile. Ungherese di nascita, Edith Bruck è approdata nel nostro Paese dopo aver conosciuto, alle soglie dell’adolescenza, la tragedia dell’Olocausto, passando per Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen, come ha raccontato nel suo primo libro autobiografico Chi ti ama così.

Nel 1957 incontra in un gruppo di amici Nelo Risi: «Prima di sapere chi è e come si chiama, è l’eletto del mio cuore dal batti- to accelerato solo nel guardarlo, da quel momento per la vita ». Dal suo libro di racconti Andremo in città, del 1962, fu da suo marito tratto l’omonimo film, e da allora Edith Bruck ha pubblicato molti volumi di narrativa e poesia, premiati e tradotti in diverse lingue, e si è anche occupata di teatro, cinema e Tv, come del resto il marito. «Nelo era però essenzialmente un poeta. La poesia era il suo rifugio, la sua fuga nella bellezza, la sentiva come una musica. Quando scriveva, teneva il ritmo tamburellando con le dita. Rappresentava la sua libertà di esprimersi senza i condizionamenti che doveva accettare quando faceva cinema e televisione, quello era un lavoro che faceva per ragioni economiche, perché i proventi della poesia non danno di che vivere, del resto lui aveva poche esigenze. Mi diceva sempre che a un uomo basta un tetto sulla testa, un cappotto quando fa freddo e da mangiare se ha fame».

Flash-back come questi brillano a tratti nel libro, rievocando la personalità di un grande poeta e un grande uomo, contraddistinto da un’onestà intransigente, da una moralità aliena da compromessi. «Umile e generoso, aveva un totale disinteresse per le cose materiali. Si dichiarava non credente, eppure aveva il senso della sacralità della vita e un rispetto assoluto per ogni essere vivente: ad esempio, una volta vide un topo in bagno e gli improvvisò una scaletta per farlo uscire indenne dalla finestra. Ammirava tantissimo san Francesco, e più volte mi disse che era tanto disgustato per il degrado della società, che avrebbe voluto ritirarsi a vivere in un convento. Due volte andammo ad Assisi, fino a quando, dieci anni fa, proprio lì si manifestò per la prima volta il suo male. Gli sarebbe molto piaciuto papa Francesco, come a me, che l’ho incontrato e abbracciato quando è venuto alla sinagoga di Roma».

Il senso morale di Nelo Risi impregnava anche la sua poesia, pensiamo in particolare alle raccolte Pensieri elementari, Dentro la sostanza, Amica mia nemica. È stato accostato al neorealismo, a Pasolini.

«Sì, lui era un poeta civile, impegnato. Non era ermetico, ma concreto e chiaro. Un critico l’ha definito ' stilista dell’usuale'» .

Per un intelletto come il suo, dev’essere stato tremendo accorgersi del male che lo devastava.

«Si sentiva umiliato. Gli sembrava che la vecchiaia avesse intrapreso una battaglia contro di lui. Questa amarezza è ben evidente nella sua ultima raccolta, Né il giorno né l’ora, scritta a ottantotto anni. Era disgustato dal mondo, scandalizzato per la decadenza civile e morale, la volgarità, la corsa al denaro come unica meta. La poesia, come l’arte, la musica, stimola la parte più nobile e sensibile dell’uomo, se vengono meno questi stimoli prevalgono l’ottusità, la bruttezza. In un certo senso la dissipazione delle cellule cerebrali di Nelo potrebbe essere coincisa col desiderio di cancellare tutto l’obbrobrio che vedeva intorno».

Stargli accanto in quelle condizioni non è stato facile, ma lei è stata sorretta dalla forza del suo amore davvero indefettibile.

«Sì, l’ho sempre amato, è stato la mia ragione di vita, per me era come l’ossigeno. E anche lui mi amava, perfino quando ha avuto un periodo di sbandamento per un’altra donna mi è sempre stato vicino, e io gli ho perdonato tutto, non potevo farne a meno. Negli ultimi anni sono stata tutto per lui, a volte non mi riconosceva e mi chiamava mamma. Poeta anche nella malattia, mi prendeva la mano e diceva: 'Il tuo palmo è la mia fondamenta'».

Nei momenti più strazianti, racconta nel libro di essersi rivolta a Dio.

«Non ho mai rinnegato Dio. Come mia madre, donna di grande fede, l’ho sempre cercato e cerco nel pericolo. Gli chiedevo di liberarmi dall’impazienza, dall’angoscia costante. Gli chiedevo il dono di qualche attimo di lucidità e di pace affinché, come me che ho vissuto il buio, Nelo potesse capire che ogni giorno è un dono.»

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