mercoledì 15 novembre 2023
In Baviera gli archeologi hanno ritrovato una misteriosa mano metallica che aveva scopi funzionali e non solo di mascheramento di una mutilazione subita in battaglia
La mano hi-tech che piega le dita e afferra oggetti con un'efficienza pari al 90% di quella di una mano naturale

La mano hi-tech che piega le dita e afferra oggetti con un'efficienza pari al 90% di quella di una mano naturale - IIT

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Il ritrovamento di una misteriosa mano metallica trovata su uno scheletro risalente al Medioevo rischia di collocare l’alba dei cyborg – ibridi uomo-macchina - a 600 anni fa, facendoli uscire da quello che oggi – e forse ancora per poco – è la loro dimora naturale, ovvero la letteratura di fantascienza. Infatti, un gruppo di archeologi, al lavoro in una campagna di scavi in Baviera, Germania, hanno portato alla luce uno scheletro con una mano protesica in metallo che potrebbe avere appunto quasi 600 anni.

Gli archeologi hanno utilizzato gli strumenti di datazione nucleare (carbonio 14) per stimare che l'uomo avesse probabilmente tra i 30 e i 50 anni e sia morto tra il 1450 e il 1620. L’Ufficio statale bavarese per la conservazione dei monumenti ha confermato che <>. Il rapporto afferma anche che non è chiaro come l'uomo abbia perso le dita e come possa aver usato questa protesi che non sottendeva solo al mascheramento di una mutilazione ma permetteva di recuperare una funzionalità. Ed è proprio questa l’originalità visto che la maggior parte delle protesi del tempo erano appunto fatte per nascondere le deformità o lesioni subite in battaglia, viceversa con scarsa attenzione alla funzionalità.

Per esempio, Baldovino IV d’Angiò, che fu il giovane re di Gerusalemme e per tutti era conosciuto come il re lebbroso, per celare i segni della malattia si serviva di una maschera, come molti di quell’epoca. Nulla di terapeutico o di funzionale però. Solo a partire dall’800 le protesi e le maschere assunsero funzionalità e gettarono le basi affinché l’uomo superasse da un punto di vista psicologico l’dea che potesse sostituire le “sue parti danneggiate” con di nuove create in modo artificiale. Gettando quindi le basi per l’accettazione di quanto sta accadendo oggi in modo molto veloce, ovvero l’integrazione della tecnologia nel corpo umano. Con non poche esagerazioni, come il caso Anastasia Synn, cantante californiana che è entrata nel libro dei Guinness dei primati, avendosi fatto impiantare 52 chip metallici sottocutanei, tra cui uno che le serve per aprire la porta di casa.

E l’allarme su queste esagerazioni, arriva però da Paolo Benanti, presbitero e teologo italiano del Terzo ordine regolare di San Francesco, che nel suo libro “The cyborg: corpo e corporeità nell'epoca del post-umano”, offre per l’appunto uno sguardo nuovo al mondo della biotecnologia aprendo tutta una serie di urgenti quesiti etici che chiedono di essere affrontati in maniera organica per giungere a una governance efficace del progresso tecnologico.

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