mercoledì 17 maggio 2023
Il Papa firma la prefazione al libro di Carlo Petrini e Gaël Giraud “Il gusto di cambiare”: abbiamo bisogno di una nuova idea di futuro; ascoltare i giovani, reimparare l’empatia e la sostenibilità
Papa Francesco

Papa Francesco - Cristian Gennari/Siciliani

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Carlo Petrini, Gaël Giraud e Stefano Arduini presenteranno il loro Il gusto di cambiare. La transizione ecologica come via per la felicità, con prefazione di papa Francesco che anticipiamo in parte qui (Slow food-Lev, pagine 176, euro 18,00), in varie città: si inizia il 19 maggio, ore 17.15, al Salone del libro di Torino (Caffè Letterario - Padiglione Oval).

In queste pagine Carlo Petrini e Gaël Giraud, uno attivista settantenne, l’altro professore di economia cinquantenne, ovvero due adulti, riscontrano nelle nuove generazioni assodati motivi di fiducia e di speranza. Solitamente noi adulti ci lamentiamo dei giovani, anzi ripetiamo che i tempi “passati” erano sicuramente migliori di questo presente tribolato, e che chi viene dopo di noi sta dilapidando le nostre conquiste. E invece dobbiamo ammettere con sincerità che sono i giovani a incarnare in prima persona il cambiamento di cui abbiamo tutti oggettivamente bisogno. Sono loro che ci stanno chiedendo, in varie parti del mondo, di cambiare. Cambiare il nostro stile di vita, così predatorio verso l’ambiente.

Cambiare il nostro rapporto con le risorse della Terra, che non sono infinite. Cambiare il nostro atteggiamento verso di loro, le nuove generazioni, cui stiamo rubando l’avvenire. E non solo ce lo stanno chiedendo, lo stanno facendo: andando in piazza, manifestando il proprio dissenso rispetto a un sistema economico iniquo per i poveri e nemico dell’ambiente, cercando nuove strade. E lo stanno realizzando partendo dal quotidiano: fanno scelte responsabili in tema di cibo, di trasporti, di consumi. I giovani ci stanno educando su questo! Scelgono di consumare di meno e di vivere di più le relazioni interpersonali; sono attenti ad acquistare oggetti prodotti seguendo regole strette di rispetto ambientale e sociale; sono fantasiosi nell’utilizzare mezzi di spostamento collettivi o meno inquinanti. Per me, vedere che questi comportamenti si stanno diffondendo fino a diventare prassi comune è motivo di consolazione e di fiducia. Petrini e Giraud fanno spesso riferimento ai movimenti giovanili che, in diverse parti del mondo, portano avanti le istanze della giustizia climatica e della giustizia sociale: i due aspetti vanno tenuti insieme, sempre.

I due autori indicano strade operative per uno sviluppo economico durevole e criticano alla base il concetto di benessere che va per la maggiore oggigiorno. Quello secondo il quale il Pil è un idolo cui sacrificare ogni aspetto del vivere comune: rispetto dell’ambiente, rispetto dei diritti, rispetto della dignità umana. Mi ha molto colpito che Gaël Giraud abbia ricostruito il modo in cui storicamente il Pil si è affermato come unico parametro per giudicare la salute dell’economia di una nazione. Egli afferma che questo è avvenuto durante la stagione del nazismo e che il punto di riferimento era rappresentato dall’industria delle armi: il Pil ha un’origine “bel-lica”, potremmo dire. Tanto che per questo motivo il lavoro delle donne casalinghe non è mai stato conteggiato: perché il loro impegno non serve alla guerra. Un’altra prova di quanto sia urgente sbarazzarsi di questa prospettiva economicistica, che sembra disprezzare il lato umano dell’economia, sacrificandolo sull’altare del profitto come metro assoluto.

La natura di questo libro è inoltre doppiamente interessante. Primo, perché avviene nella forma di un dialogo. Questo è un dato che ritengo importante sottolineare. È il confronto che ci arricchisce, non l’essere fermi sulle nostre posizioni. È la conversazione che diventa occasione di crescita, non il fondamentalismo che sbarra la strada alla novità. È il dibattito il momento in cui maturiamo, non l’ermetica certezza di essere noi quelli sempre “nel giusto”. Anche e soprattutto quando parliamo della ricerca della verità. Il beato Pierre Claverie, vescovo di Orano, martire, affermava: « La verità non la si possiede, e io ho bisogno della verità degli altri». Mi permetto di aggiungere: il cristiano sa che non conquista la verità, ma semmai è lui a essere “conquistato” dalla Verità, che è Cristo stesso. Per questo motivo credo fortemente che la pratica del dialogo, del confronto e dell’incontro sia oggi quanto di più urgente da insegnare alle nuove generazioni, fin dai bambini, per non favorire la costruzione di personalità chiuse a doppia mandata nell’angustia delle proprie convinzioni. In secondo luogo, i due interlocutori – saggiamente stimolati dal curatore – rappresentano punti di vista e origini culturali diverse: Carlin Petrini, che si definisce agnostico e con il quale ho avuto già la gioia di dialogare per un altro testo; Gaël Giraud, un gesuita.

Ma questo dato oggettivo non impedisce loro di portare avanti una conversazione intensa e costruttiva che diventa il manifesto di un futuro plausibile per la nostra società e il nostro stesso pianeta, così minacciato dalle conseguenze nefaste di un approccio distruttivo, colonialista e dominatore sul creato. […] L’orizzonte di preoccupazione sul quale Petrini e Giraud focalizzano la loro attenzione è la situazione ambientale davvero critica in cui ci troviamo, figlia di quell’«economia che uccide» e che ha causato il grido sofferente della Terra e il grido angosciante e angoscioso dei poveri del mondo. Di fronte alle notizie che quotidianamente ci arrivano – siccità, disastri ambientali, migrazioni forzate a causa del clima – non possiamo restare indifferenti: saremmo complici della distruzione della bellezza che Dio ha voluto donarci nel creato che ci circonda. Tanto più che in questo modo va a perire quel dono «molto buono» che il Creatore forgiò con acqua e polvere, l’uomo e la donna.

Ammettiamolo: lo sviluppo economico sconsiderato cui ci siamo piegati sta causando squilibri climatici che stanno gravando sulle spalle dei più poveri, in particolare nell’Africa subsahariana. Come possiamo chiudere le porte a quanti fuggono, e fuggiranno, da situazioni ambientali insostenibili, conseguenze dirette del nostro consumismo smodato? Credo che questo libro sia un dono prezioso, perché ci indica una strada e la concreta possibilità di percorrerla, a livello individuale, comunitario e istituzionale: la transizione ecologica può rappresentare un ambito in cui tutti, da fratelli e sorelle, ci prendiamo cura della casa comune, scommettendo sul fatto che consumando meno cose e vivendo più relazioni personali varcheremo la porta della nostra felicità.

Petrini-Giraud: «Il segreto? Meno spreco più relazioni»

Carlo Petrini e Gaël Giraud

Carlo Petrini e Gaël Giraud - Lev

Gerolamo Fazzini

E se ci fosse una “terza via” per affrontare la questione ecologica, problema cruciale che interpella oggi (e lo farà sempre più in futuro) società, politica, economia e religioni? Può darsi un’alternativa tra i due opposti estremi cui spesso assistiamo: il panico o l’allarmismo - talora espresso con la violenza - da un lato, il non meno colpevole business as usual, dall’altro, che praticano in molti, dai singoli alle imprese? Un’altra strada è possibile, assicurano Carlo Petrini e Gaël Giraud, nel loro nuovo libro, disponibile da oggi Il gusto di cambiare. La transizione ecologica come via per la felicità (Slow food-Lev, pagine 176, euro 18,00). Il primo è il noto fondatore di Slow Food e della prima Università di Scienze Gastronomiche al mondo; il secondo è un gesuita, economista e teologo, direttore del Centro per la giustizia ambientale della Georgetown University di Washington.

Lo si capisce fin dal titolo: il libro, come spiega il Papa nella prefazione di cui anticipiamo ampi stralci, ha «un sapore di speranza, di autenticità, di futuro». Un testo che colpisce per lucidità di pensiero, forza dell’argomentazione e passione civile. Un serrato confronto fra Petrini e Giraud, animato dalle domande di Stefano Arduini, direttore di “Vita”, che propone un radicale cambiamento di prospettiva: i cambiamenti necessari per salvaguardare il creato non vanno interpretati come una rinuncia moralistica, da inghiottire come un’amara medicina, bensì hanno a che fare con la felicità. Troviamo qui una sostanziale consonanza con intellettuali quali, ad esempio, Rebecca Solnit, ambientalista e femminista statunitense, la quale di recente ha scritto: «Bisogna reinterpretare il cambiamento climatico come un’opportunità, un’occasione per ripensare chi siamo».

C’è bisogno di un pensiero nuovo – sostiene Giraud – che oggi fatica a prendere forma all’interno delle università, sebbene non manchino esperienze pionieristiche interessanti. Non solo: in alternativa al duello boomer contro giovani, Petrini addita la via di un’alleanza intergenerazionale. « Le generazioni più mature dovranno mettersi a disposizione dei giovani per trasmettere loro l’importanza dei beni relazionali. Socialità e convivialità saranno gli strumenti che nutriranno la voglia di un futuro più giusto e più sostenibile insita in ogni giovane». I due autori rilanciano con forza l’assioma di Francesco «il meno è più», contenuto in Laudato si’. Meno consumo di cose significa più relazioni, meno spreco di risorse significa che più persone possono goderne, meno ricorso alle energie fossili significa benessere collettivo più alto. Un dato eloquente, citato da Petrini: «Consumiamo 95 chili di carne pro capite. Negli Stati Uniti si arriva addirittura a 130. Nell’Africa subsahariana a 5 chili. Mentre, invece, una cifra intorno ai 60 chili è quella più consona a una dieta sana».

C’è chi ha troppo, chi troppo poco. Una delle fonti di maggior inquinamento sono proprio gli allevamenti intensivi di animali; ben il 69% dell’acqua che usiamo è destinato a tal fine. Uno spreco che si potrebbe risolvere dimezzando il consumo personale di carne. Guadagnandone in salute e in rispetto dell’ambiente. Anche sul fronte finanziario i cambiamenti sono necessari e urgenti. Giraud ricorda che sono proprio le banche a ostruire il processo politico della transizione ecologica: se consideriamo gli 11 principali istituti di credito d’Europa, scopriremmo che il totale dei loro investimenti in energie fossili arriva a quota 530 miliardi di euro, pari a circa il 95% della somma della capitalizzazione di ognuno di essi. In pratica, se si scegliesse di colpo di puntare sulle energie rinnovabili e si abbandonassero quelle fossili, le maggiori banche europee chiuderebbero. Nel libro, inoltre, è interessante notare come vengano messi in crisi dogmi radicati, come quello secondo il quale al mondo siamo in troppi, rispetto alle risorse disponibili. Carlo Petrini smonta tale diffusa “certezza”: « A livello globale produciamo cibo per 12 miliardi di esseri viventi.

Eppure gli abitanti della terra sono oggi 8 miliardi. Risultato? Il 33% del cibo viene buttato. Il 33% significa milioni di tonnellate di cibo prodotte, stressando ettari ed ettari di terra fertile e utilizzando miliardi di litri d’acqua. Una follia che non sta né in cielo né in terra». Da parte sua Giraud offre al lettore un giudizio molto interessante sulla Cina, sul banco degli imputati per il suo tumultuoso sviluppo economico e scarso rispetto ambientale. « Nella transizione ecologica la Cina è più avanti di noi. È un paradosso, perché a livello globale la Cina è il Paese in cui si concentra la maggior parte degli investimenti verdi, ma al contempo rimane in testa alle classifiche delle emissioni. Però, quando guardiamo la quota del Pil investita in politiche verdi, la Cina è davanti a noi». Un dato che non può non interpellare le democrazie occidentali e i Paesi economicamente più avanzati, Italia inclusa.



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