mercoledì 25 maggio 2022
Terzo film italiano in gara, “Nostalgia”. Il regista: «Con questo lavoro mi sono buttato tra le strade di Napoli». L’attore: «Ho trovato il me stesso sconosciuto anche grazie a un sacerdote»
Pierfrancesco Favino protagonista del film “Nostalgia” di Mario Martone, in concorso a Cannes

Pierfrancesco Favino protagonista del film “Nostalgia” di Mario Martone, in concorso a Cannes

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Cannes La storia di un ritorno, della riappropriazione di un’identità perduta, della ricerca di un riscatto, di una pacificazione impossibile, di un’amicizia corrotta e di un nuovo posto nel mondo. Arriva in concorso al Festival di Cannes Nostalgia di Mario Martone, tratto dall’omonimo romanzo postumo di Ermanno Rea ambientato nel Rione Sanità, un “luogo altro” nella città di Napoli, sconosciuto agli stessi partenopei, tormentato e misterioso. Piefrancesco Favino interpreta Felice Lasco, che a quindici anni, in seguito a un tragico evento, lascia per sempre la città e va a lavorare in Medio Oriente e Nord Africa. Dopo 40 anni decide di tornare tra le sue strade, per rivedere l’anziana madre che ha abbandonato all’improvviso e per cercare il suo grande amico di quando era ancora un ragazzo, Oreste (Tommaso Ragno), con il quale condivide un segreto doloroso e che nel frattempo è divenuto un criminale temuto e sanguinario. Sono in molti a consigliargli di andare via, di tornare dalla moglie in Egitto, ma lui sembra ancorato a Napoli da una forza invincibile.

Ricco di poesia, passione, paura, di un mistero che non sembra svanire neppure con la parola fine, il film che il regista ha scritto con Ippolita Di Majo scava tra le pagine del romanzo per coglierne l’essenza più pura, restituendoci il fascino di luoghi fuori dal tempo e dallo spazio, personaggi così tridimensionali che sembra di averli incontrati davvero. E tra le tante scene che arrivano dritte al cuore c’è quella struggente in cui Felice si prende cura di sua madre (Aurora Quattrocchi) prendendola tra le braccia e adagiandola con infinito amore in una vasca da bagno. Un momento in cui si resta con il fiato sospeso, sopraffatti da tanta bellezza.

«Mi interessava il labirinto – dice Martone –, la scacchiera di questo quartiere molto particolare dove i personaggi compiono il loro percorso. Il film non ha una messa in scena tradizionale, era necessario buttarsi tra le strade, come accadeva nel Neorealismo e nella Nouvelle Vague. Non ci importavano gli sfondi, ma i rapporti, l’incontro tra persone». Per Favino è stata un’esperienza viscerale: «In quel luogo, in quello spazio, in quel tempo, mi sono completamente perso. Non è possibile piegare la Sanità alle regole del cinema e grazie a questo film ho scoperto una libertà espressiva che non credevo di avere». Il romanzo è stato proposto a Martone da Luciano Stella, che ha prodotto il film, distribuito da Medusa (da oggi nelle sale), insieme a Roberto Sessa, Maria Carolina Terzi, Carlo Stella.

«Deve accadere qualcosa di speciale – dice ancora il regista, a cui sarà dedicato l’evento speciale sul cinema italiano alla prossima edizione del Pesaro Film Festival a giugno – per decidere di trasformare un romanzo in un film. La Sanità non mi è familiare, ma ho deciso di fare un film perché sentivo risuonare parti di me, a cominciare da mio padre e mia madre». «Il ritorno – aggiunge Favino, che passando dall’arabo al napoletano attraverso l’accento francese ha fatto uno straordinario lavoro sul linguaggio – potrebbe essere l’inizio di qualunque racconto e lasciarsi portare dalle proprie incertezze è il gesto più artistico e creativo che riesca a immaginare».

Un’altra memorabile sequenza del film vede protagonista l’ottimo Francesco Di Leva, che dopo aver interpretato tanti ruoli di ma-lavitosi, veste qui i panni del parroco del rione, saldo punto di riferimento di un’intera comunità. È lui ad accompagnare Felice tra le famiglie della Sanità, pronto ad ascoltare, discutere e venire a compromessi con il volto più oscuro della città al solo scopo di salvare magari un ragazzo che vorrebbe suonare il violino invece di spacciare droga.

«Questa volta sto dalla parte del bene – commenta l’attore soddisfatto – con un personaggio ricalcato su padre Antonio Loffredo, un grande prete e un uomo straordinario, che ci ha accolti e guidati nel ventre di Napoli. Sono stato insieme a lui per due mesi, ho conosciuto realtà straordinarie che lo vedono nel ruolo di imprenditore, animatore culturale, aggregatore umano. Non sta mai fermo un momento – è arrivato a Cannes con un pulmino e nove ragazzi –, sa essere molto brusco, è pieno di contraddizioni (in una scena chiama Felice per la confessione e poi lo caccia), ma ascolta tutti: criminali, spacciatori, ragazzi, donne, madri. Le sue porte sono aperte a tutti, anche agli animali che entrano sempre nella sua chiesa. Come Virgilio ci accompagna negli inferi. Grazie a lui mi sono avvicinato alla Chiesa e ho scoperto la preghiera. Io che non conoscevo neppure l’Ave Maria, ho cominciato a pregare, scoprendo qualcosa che sto continuando ad approfondire».

E la preghiera gli ha fatto scoprire altre priorità: 'Pregando mi chiedo chi sono e chi voglio diventare nella vita. Mi faccio molte domande. La prima cosa che ho capito è che voglio essere un uomo migliore. E poi voglio dedicarmi a me stesso e alla mia famiglia. Molti colleghi sono arrivati a Cannes con agenti e uffici stampa, io sono qui con mia moglie e i miei figli. Voglio essere felice insieme a loro».

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