mercoledì 2 agosto 2017
I cento anni dei grandi magazzini che hanno fatto la storia della grafica, della moda e del costume del Paese. Un anniversario celebrato in due suggestivi percorsi espositivi fra Milano e Chiasso
Max Huber, il manifesto pubblicitario del 1954, "Per l’estate di tutti" (arch. Max Huber)

Max Huber, il manifesto pubblicitario del 1954, "Per l’estate di tutti" (arch. Max Huber)

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«Il titolo per la Società è questo. L’ho trovato ieri sul vallone di Chiapovan: La Rinascente. È semplice, chiaro e opportuno». È il 24 agosto del 1917, Gabriele d’Annunzio è al fronte, scrive in «gran fretta. Parto fra mezz’ora per bombardare Grahovo». Ma vede lontano. E dagli scenari di guerra, tira fuori quello che sembra essere un auspicio profetico. Per la nuova Italia. D’altra parte i grandi magazzini rappresentano proprio il segno della modernità. Il loro debutto nel nostro Paese lo si deve ai fratelli Luigi e Ferdinando Bocconi che – dopo aver aperto nel 1865 la prima bottega di stoffe e confezioni – nel 1877 sul modello del “Le Bon Marché” francese – reso celebre da Emile Zola nel romanzo Au Bonheur des Dames – lanciarono a Milano presso l’Hotel Confortable “Aux Ville d’Italie” (poi cambiato nel 1880 in “Alle città d’Italia”). Nel 1917 i “grandiosi” magazzini Bocconi vengono venduti a un gruppo di industriali guidati da Senatore Borletti che si affidò a Gabriele D’annunzio, già ideatore geniale di altri marchi di successo, per trovare il nome giusto, che andasse al cuore della gente. E dal cilindro del Vate ecco “La Rinascente”. Il 27 settembre dello stesso anno venne costituita la società e il 7 dicembre del 1918 nello stabile di piazza del Duomo a Milano l’apertura del grande negozio. Un manifesto disegnato dal francese Achille Luciano Mauzan annunciava l’evento e tracciava subito il segno e il tono che il nuovo magazzino voleva darsi: un’ancella in ginocchio porge le chiavi dorate de “La Rinascente” a una donnadea statuaria, che si staglia solenne con la testa piumata e il viso truccato su un fondo boschivo armonioso come una superba coda di pavone. Dopo pochi giorni, però, i grandi magazzini furono completamente distrutti da un incendio. Sembrava che il sogno fosse svanito. Invece l’edificio venne presto ristrutturato e nel 1921 la Rinascente riaprì ingrandita e trasformata, con rinnovato entusiasmo: il manifesto di Aldo Mazza raffigurava un ulivo da cui sbocciano nuovi rami. È la rinascita. La seconda, mentre erano già state aperte le filiali di Torino, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli e Palermo.


Ora la Rinascente è in tutta Italia il simbolo della ripartenza. Al femminile. Perché la Rinascente è donna. È il luogo della donna moderna, bella, solare, pronta a conquistare spazi in società, così come la vede l’artista triestino Marcello Dudovich che firmerà i manifesti pubblicitari fino al 1956. Poi toccherà all’eleganza stilistica di Lora Lamm e alla sua donna sempre più raffinata. Un viaggio nel tempo e nella storia della pubblicità, con opere delle meraviglie che si possono ammirare nella mostra La Rinascente, 100 anni di creatività d’impresa attraverso la grafica allestita al Max di Chiasso (a cura di Mario Piazza e Nicoletta Ossanna Cavadini, aperta fino al 24 settembre, catalogo Skira), il centro culturale dedicato a Max Huber a cui si deve la realizzazione del logo della “terza rinascita”, per la riapertura (in stile americano, con moderne scale mobili) del 1950, dopo la ricostruzione dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale: è il monogramma “lR” che accompagnerà la Rinascente fino a oggi. I grandi magazzini della famiglia Borletti, del resto, sono stati una straordinaria palestra di espressione per la creatività italiana. Da qui sono passati personaggi come Giancarlo Iliprandi, Roberto Sambonet, Carlo Pagani, Bruno Munari, Italo Lupi, Mario Bellini, senza dimenticare i fotografi Aldo Ballo, Ugo Mu-las, Serge Libiszewski e Oliviero Toscani. Nel 1954 la Rinascente istituì il premio Compasso d’Oro, nato da un’idea di Gio Ponti e Alberto Rosselli, con il logo disegnato da Albe Steiner. Gli oggetti iconici del design made in Italy fanno tutti parte di questa straordinaria galleria.


La mostra ticinese fa il paio con la grande esposizione targata Rinascente, promossa insieme al Comune di Milano, a Palazzo Reale, dall’altra parte di piazza Duomo, quasi di fronte a quella sede che tuttora, cento anni dopo – nel continuo rinnovarsi dei tempi e delle mode – resta il simbolo dello shopping italiano, meta ambita da milioni di viaggiatori stranieri: LR100 – Rinascente Stories of innovation (aperta fino al 24 settembre), in un progetto curato da Sandrina Bandera e Maria Canella, racconta un secolo di storia del costume e della cultura di Milano e dell’Italia, presentando una grande varietà e quantità di opere d’arte, di grafica, oggetti di design (quelli premiati al Compasso d’Oro, dalla Olivetti Lettera 22 alla “Seggiolina” di Kartell al televisore “Doney” di Brion Vega...), immagini storiche e contributi inediti, che permettono di andare oltre il marchio e scoprire lo straordinario ruolo che i grandi magazzini hanno avuto nella moda (si pensi che stilisti come Giorgio Armani e Ottavio e Rosita Missoni, hanno mosso i primi passi qui), nella comunicazione e nella grande distribuzione. «Sin dalle sue origini la Rinascente si caratterizzò come laboratorio dove sperimentare le novità che provenivano dal resto d’Europa. Il modello di vendita innovativo, derivato dalle iniziali esperienze francesi, con la merce esposta negli scaffali a prezzo fisso, non solo fu la chiave di volta di un’economia moderna, ma produsse decisivi cambiamenti nella vita quotidiana della nascente società dei consumi, creando nuovi miti e archetipi nel gusto, rivoluzionando l’immagine femminile e maschile e stimolando la nascita dei sistemi produttivi legati alla moda e al design, pilastri fondanti del Made in Italy», scrive Maria Canella nel catalogo (edito da Skira, con i contributi, fra gli altri, di Salvatore Carrubba, Fulvio Irace, Giuseppe Lupo e Armando Torno). «La Rinascente ha imposto alle donne e agli uomini di tutta la penisola – continua la storica dell’arte e del costume – “la concezione dell’economia e dello standard”, ma non solo. Come ha scritto Rodolfo Francesconi nel suo libro Azienda come cultura, la Rinascente “non è stata solo un tempio dei consumi, ma una università sperimentale, una grande abbazia moderna dispensatrice di merci e cognizioni”».

Il manifesto “Rinascente – Novità di stagione”, di Marcello Dudovich (1940) (coll. priv. Rossella Villani)

Il manifesto “Rinascente – Novità di stagione”, di Marcello Dudovich (1940) (coll. priv. Rossella Villani) - Matteo Zarbo


La proprietà della Rinascente nel tempo è passata da diverse mani. Dal 2011 è di proprietà della thailandese Central Retail Corporation. L’orizzonte è sempre più internazionale. Ma il cuore e lo spirito che misero la famiglia Borletti e i sodali e fidati Brustio sono nel Dna di questi magazzini “all’italiana”. «La Rinascente è nel cuore della città, come manifesto del carattere dinamico di Milano fatto di continue armonie e contrasti. È così fin da quando, a fine Ottocento, il grande magazzino dei fratelli Bocconi contribuiva a rendere piazza del Duomo un nuovo spazio di condivisione e socialità urbana. Oppure quando negli anni Cinquanta ospitava sfilate, concerti, mostre per far conoscere cultura e prodotti di altri Paesi, diventando una finestra sul mondo. Nel corso del tempo si è accreditata come promotrice di nuove tendenze e di cultura, dalla moda al food, dal design all’arte», afferma il vicepresidente Vittorio Radice. «Così oggi, a noi, piace pensarla più come un luogo che come un negozio ». Dove intercettare tendenze e misurare i talenti. E trovare, chissà, nuove idee per un’altra “rinascita”. Del Paese.

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