martedì 22 novembre 2011
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«L'arte sfida la tecnologia e la tecnologia ispira l’arte». Con questa formula John Lasseter, ieri a Milano per raccontare al Teatro Dal Verme l’affascinante storia della sua Pixar e inaugurare al Pac la mostra dedicata ai 25 anni della straordinaria fabbrica dei sogni fondata insieme a Steve Jobs (su cui, per rispetto, non vuole parlare), ama sintetizzare la filosofia che sta dietro il proprio lavoro. «Mia madre era un’insegnante di storia dell’arte – ha raccontato – e sono cresciuto con Leon Battista Alberti a Leonardo da Vinci. Amavo molto disegnare e a 14 anni ho scoperto che c’era chi veniva pagato per realizzare cartoon. Ho inseguito i miei sogni agli studi Disney e ho assistito agli albori dell’animazione computerizzata. Ero elettrizzato per le potenzialità che intuivo nel mondo dell’informatica e ho spinto questa nuova tecnologia alla Disney, ma non erano interessati. Ho spinto così tanto che mi hanno licenziato. È stato allora che incontrato George Lucas e il suo team. Non ho mai capito la matematica, ma sapevo disegnare e sviluppare personaggi emozionanti e così abbiamo cominciato a lavorare fianco a fianco mescolando arte e tecnica».È nata così quella che oggi viene definita la "bottega digitale" di Lasseter che come nel Rinascimento mescola e armonizza diverse pratiche artistiche, dalla pittura alla scultura, dalla letteratura all’architettura e alla musica. «La tecnologia da sola – spiega ancora Lasseter – non ha mai divertito nessuno. Diventa intrattenimento solo se impari a farne buon uso. Cinque giorni dopo l’uscita di <+corsivo>Toy Story<+tondo>, il primo film in 3D, all’aeroporto di Dallas ho visto un bambino che stringeva felice il cowboy Woody e non vedeva l’ora di mostrarlo a suo padre. È per quel bambino, al quale penso ogni giorno, che metto così tanto impegno in quello che faccio».A chi chiede a questo geniale esponente dell’umanesimo digitale «qual è il segreto dei film Pixar?» risponde: «Una storia appassionante, personaggi memorabili e un mondo credibile, anche se non necessariamente realistico». Un segreto che poi sarebbe quello di tutti i film maker, è quindi evidente che la formula magica della Pixar stia anche in altro. Nella capacità ad esempio di creare personaggi inconsueti (come robottini muti, pensionati, boyscout grassottelli, insetti e topi che assomigliano a quelli veri), di inventare storie che arrivano al pubblico di ogni età, ma soprattutto di coniugare raffinante espressioni artistiche con nuove capacità espressive. Non ci resta allora che attendere curiosi l’arrivo sugli schermi (giugno 2012) della prima principessa Pixar, Merida, protagonista di <+corsivo>Brave<+tondo> diretto dalla regista Brenda Chapman che racconterà un viaggio di formazione ispirato a saghe e leggende scozzesi, ma anche alle conquiste del femminismo moderno. Vedremo dunque come la Pixar se la caverà con la sua prima favola vera e propria, rielaborando una tradizione disneyana che proprio nelle donne ha spesso trovato i propri eroi più affascinanti.
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