martedì 8 gennaio 2019
Dopo la formulazione dell’ipotesi eliocentrica nel 1543, poi ribadita da Keplero, si svilupparono svariate “visioni del cosmo” Così l’astronomo gesuita teorizza a metà ’600 un sistema geocentrico
Giovanni Battista Riccioli, il Galilei anticopernicano
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Nel vivace dibattito cosmologico che si produsse dopo la pubblicazione nel 1543 a Norimberga del De Rivolutionibus Orbium Coelestium di Niccolò Copernico (1473-1543) che conteneva l’ipotesi di un cosmo eliocentrico, il grande astronomo tedesco Johannes Kepler (1571-1630) si dimostrò ben presto un copernicano convinto e un cristiano devoto, sia pure alquanto a modo suo. Dopo un’infanzia malaticcia e difficile, Keplero era divenuto collaboratore dell’astronomo danese Tycho Brahe (15461601), condividendone l’idea secondo la quale la «sapienza legislativa di Dio» operava in modo libero sui movimenti dei corpi celesti, «senza alcun macchinario né alcun rotolamento di sfere» come pensavano i seguaci del sistema cosmologico di Tolomeo. Egli rifiutò invece di accettare il modello geocentrico del suo maestro, che pretendeva di risultare alternativo tanto a quello tolemaico quanto a quello copernicano.

La tesi cosmologica di Tycho Brahe, definita "sistema tychonico" o "terzo sistema del mondo", teorizzava infatti che la Terra fosse al centro dell’Universo, col Sole, la Luna e le stelle in moto rotatorio intorno a essa, mentre gli altri cinque astri allora conosciuti ( Venere, Mercurio, Marte, Giove e Saturno) orbitavano intorno al Sole e quindi mantenevano soltanto indirettamente il nostro pianeta quale fulcro rotatorio.

In quello che Galileo Galilei chiama Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo intervennero tra il XVI e il XVIII secolo svariate figure di astronomi che erano anche teologi e di teologi che erano anche astronomi, a iniziare dai Gesuiti. Ci fu tra quest’ultimi chi addirittura giunse a proporre un proprio autonomo sistema cosmologico sulla falsariga di quello tychonico, che evidentemente non ebbe fortuna, ma forse proprio per questo merita di essere storicamente ricordato.

Stiamo parlando del gesuita emiliano Giovanni Battista Riccioli (1598-1671), che nei suoi trattati astronomici si dimostra critico nei confronti del copernicanesimo e prospetta una sorta di rimodulazione del modello tychonico, tentando di salvare quanto più possibile del geocentrismo, dal momento che reputava inconcepibile l’idea stessa del movimento della Terra nello spazio.

A onor del vero, padre Riccioli non era il primo a cimentarsi in una simile operazione, ma sicuramente risulta tra tutti il più originale e fedele all’obbiettivo aristotelico di "salvare i fenomeni" che si osservavano nella volta celeste, battendo una via intermedia tra il sistema cosmologico egizio (conosciuto tramite le note enciclopediche di Marziano Capella) e quello di Tycho Brahe. In breve, per Riccioli la Terra restava al centro dell’Universo e intorno a essa ruotavano direttamente le stelle fisse, il Sole, Giove, Saturno, e solo indirettamente Mercurio, Venere e Marte perché orbitavano intorno al Sole.

Di questo contributo alla cosmologia seicentesca e soprattutto della figura del suo autore si è purtroppo in gran parte persa la memoria. Ora tuttavia ci vengono opportunamente riproposte da Flavia Marcacci nel suo Cieli in contraddizione. Giovanni Battista Riccioli e il terzo sistema del mondo (edito da Aguaplano, pagina 257, euro 20). Nel libro vengono innanzitutto descritti i modelli cosmologici scaturiti dalla cosiddetta rivoluzione copernicana, quindi si entra nel merito dell’'emblematico caso' dell’astronomo gesuita, mettendo in luce come quest’ultimo non abbia solamente portato un contributo al dibattito sulla struttura dell’universo al suo tempo conosciuto, ma sia stato anche un fine teologo e un tenace sostenitore del ruolo fondamentale delle osservazioni empiriche e delle dimostrazioni fisiche in campo scientifico.

Per i filosofi e gli storici attenti al cambiamento di paradigma scientifico verificatosi con la transizione dal sistema tolemaico a quello copernicano e per tutti coloro che sono interessati ad approfondire oltre il trito 'caso Galilei' quanto avvenne tra Cinquecento e Seicento nel rapporto tra scienza e teologia, la figura di padre Giovanni Battista Riccioli risulterà davvero una proficua e (ri)scoperta. piacevole

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