mercoledì 12 luglio 2017
Nel mare ligure fra Laigueglia e Andora, un Uboot tedesco colpì e affondò il piroscafo “Ravenna”. 272 persone vennero salvate (solo sei i morti) da diciotto barche dei marittimi locali
Il piroscafo “Ravenna” affondato da un siluro dell’Uboot 52 nel 1917

Il piroscafo “Ravenna” affondato da un siluro dell’Uboot 52 nel 1917

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La memoria vive, da più di un secolo, a quasi 100 metri di profondità tra Laigueglia e Andora. Davanti al santuario di Nostra Signora delle Penne a Capo Mele, nome fatto girare nel mondo dalle ruote della Milano Sanremo, sotto i venti e le correnti, giace il piroscafo Ravenna. Per i laiguegliesi, anche se ormai si fatica a distinguerlo dalla flora e dalla fauna marine, non è un relitto: è il “Ravenna”! Si tramanda, di padre in figlio, un affetto sincero per il piroscafo che si beccò nella fiancata destra un siluro da un sommergibile tedesco e venne inghiottito dall’acqua il 4 aprile 1917. Un affondamento che non divenne una tragedia del mare – è questo il paradosso della mancata diffusa conoscenza della storia – grazie alla coraggiosa opera di salvataggio di vecchi uomini dalla faccia erosa dal vento, dal sole e dalla salsedine: pescatori. Se la mente pensa alla Grande Guerra si collega come per osmosi alle montagne, alla neve, al ghiaccio: ai soldati del Regio Esercito italiano, da un lato, e quelli dell’Impero austro-ungarico, dall’altro, divisi dal filo spinato e schiacciati nelle trincee; intenti a mangiare qualche galletta e leggere lettere struggenti di mamme e fidanzate. Prima di lanciarsi, con la baionetta, incontro alla morte per la conquista di pochi metri di terreno. Oppure, la mente, ritorna al nome d’acqua “dolce” del fiume Piave, sinonimo di resilienza italica, la rivincita dopo Caporetto divenuta simbolo di sconfitta; ma fatica a ricordare che si combatté anche sui fronti del cielo e dell’acqua salata. Nonostante il controllo degli inglesi, dalla Rocca di Gibilterra penetrarono nel mar Mediterraneo alcuni sommergibili austro-tedeschi. Le Capitanerie di porto furono invitate ad alzare il livello di vigilanza costiera: i telegrammi espressi segnalavano «la presenza in acque italiane di golette a motore cariche di petrolio destinate a rifornire sommergibili avversari». Il faro di Capo Mele era sorvegliato giorno e notte da un corpo di Guardia di Fanteria e questo non avrebbe dovuto «azzardare i sottomarini ad avvicinarsi alla costa». Non fu così e il “Ravenna” più che a una coincidenza, si legò a un destino marchiato dal numero 4. Un ingiallito ritaglio di giornale racconta: «4 aprile 1901 notte. Nel pomeriggio fu varato felicemente nei cantieri Odero di Genova il piroscafo “Ravenna” della Società Italia». Nel navigare della nave scorrevano come acqua gli avvenimenti. Nel 1903, davanti alle coste algerine perse l’elica e fu rimorchiato dal piroscafo Calabria; nel 1907, il poeta Dino Campana partì da Genova sul “Ravenna” per raggiungere a Buenos Aires i parenti emigrati, al fine di liberarsi dell’esperienza del manicomio e dell’odiato paese natìo (il tema del poeta toscano nei Canti Orfici del 1913 è il viaggio). L’8 giugno 1916, poi, al largo di Taranto, il “Ravenna” sfuggì a un siluro che affondò il “Principe Umberto” carico di truppe di ritorno dall’Albania: i sopravvissuti furono 895, mentre la perdita totale di uomini ammontò all’impressionante numero di 1.926. Neanche un anno dopo, al trascrivere a penna delle seguenti domande e risposte, il destino del “Ravenna” era compiuto. Il mare, come sedici anni esatti prima l’accolse nel varo dalla sua poppa, lo trascinò per sempre a sé. Ancora di poppa.

Buongiorno Comandante, prima di tutto come sta’? Si è rifocillato? «Si certo grazie, beh considerando le circostanze direi che c’è andata bene. Siamo a qui a raccontarla dopo tutto…». Bene iniziamo allora, le farò delle domande piuttosto secche, sa dobbiamo compilare un questionario circa tutte le azioni di sommergibili nemici contro navi mercantili. La sua si chiamava? «“Ravenna”, piroscafo nazionale “Ravenna”». Il suo nome Capitano? «Pasquale Zino». Porto di partenza? «Buenos Aires». Quando siete partiti? «Esattamente un mese fa, il 4 marzo 1917». Porto di destinazione? «Genova». La posizione della nave, data e ora all’avvistamento del sommergibile? «A circa 2,5 miglia al largo di Capo Mele, oggi 4 aprile 1917 alle ore 09:15 avvistammo un siluro». Data, ora e posizione della nave quando questa venne affondata e/o abbandonata? «4 aprile 1917, h.09:30 a 2,5 miglia al largo di Capo Mele Laigueglia».

Mentre le parole del capitano, interrogato poche ore dopo aver abbandonato per ultimo la sua nave, risuonavano nella stanza della Regia Delegazione di Porto di Laigueglia, i passeggeri e l’equipaggio erano all’asciutto. Non grazie alle insufficienti scialuppe di salvataggio ma al soccorso portato da 38 pescatori a bordo di 15 barche di Laigueglia e 3 di Alassio. Uomini con decine d’anni di duro lavoro sulle spalle, con i figli in guerra, che mollarono le reti già calate e remarono con tutta la forza che avevano nelle braccia verso il piroscafo. Le barche lo circondarono come per tenerlo a galla traendo in salvo 189 passeggeri e 83 membri di equipaggio: 272 persone. All’appello ne mancarono 6, perite nello scoppio del siluro lanciato dal sommergibile tedesco U52. I pescatori non riuscirono a caricare subito tutti e fecero più volte la spola tra il molo e il punto dell’affondamento. Tra quelli rimasti in mare, in attesa, un marinaio si aggrappò all’anta di un armadio. Quando tornarono a prenderlo non si separò più da quel pezzo di legno: rientrato a casa dipinse su di esso la scena del salvataggio con una dedica alla Madonna. I “reordi” – così erano detti i pescatori – lavorarono anche al recupero degli oggetti che via via affioravano: vele, remi, bussole, recipienti di latta, casse, fanali a globo di vetro, tele, timoni, secchi, valigie… E alla fine attesero un pezzo di carta. Non una banconota ma un attestato che certificasse la loro azione eroica, da mostrare con orgoglio ai figli scampati al fronte. Il tempo e la burocrazia diventarono nemici imbattibili.

Nel centesimo anniversario, la lettera dal Quirinale al sindaco di Laigueglia Franco Maglione in cui si sottolinea «il partecipe sentimento di vicinanza del Presidente Mattarella per questa dolorosa ed eroica pagina di storia», l’inaugurazione di un memoriale e la consegna di un encomio solenne agli eredi rintracciati dei salvatori (la ricerca da parte del Comune è tuttora in corso), hanno saldato il debito morale dello Stato. Nella tre giorni settembrina dei festeggiamenti in onore di San Matteo, patrono di Laigueglia (nella classifica dei borghi più belli d’Italia), sono previste altre iniziative in memoria del “Ravenna”. Una nave, non un relitto.

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