mercoledì 21 gennaio 2015
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Più di 5mila eccezionali reperti archeologici recuperati dai carabinieri del Comando Tutela patrimonio culturale sono restituiti, a titolo definitivo, al patrimonio culturale italiano. I preziosissimi reperti recuperati dall'Arma sono stati presentati questa mattina al Museo nazionale romano alle Terme di Diocleziano.
Si tratta di 5.361 reperti archeologici: è, per quantità e qualità, il più grande recupero di beni d'arte nella storia del Comando dei carabinieri Tpc. Tra i reperti spiccano moltissimi oggetti di assoluta rarità: anfore, crateri, loutrophoros, oinochoe, trozzells, basi plastici, statue votive, affreschi e corazze in bronzo, per un valore complessivo che supera i 50 milioni di euro.​L'operazione dei militari, chiamata Teseo, è stata coordinata dalla Procura della Repubblica di Roma, più precisamente dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, ed è durata 14 anni. I reperti (5.361 per l'esattezza) sono di epoca compresa tra l'VIII secolo a.C. e il III secolo d.C. e sono stati riportati in Italia dalla Svizzera, dove erano conservati per essere venduti. "È un recupero eccezionale per quantità e qualità - ha sottolineato Barbera - che comprende vari oggetti tra cui anfore, crateri, piccoli bronzi, statue, affreschi di ville vesuviane, corazze in bronzo. Insomma, c'è un po' di tutto. La netta sensazione è che queste meraviglie siano state depredate in santuari e necropoli. Purtroppo - ha osservato infine la soprintendente - ciò che non possiamo più recuperare è il cosiddetto contesto storico dei reperti".

Tutto è iniziato con una rogatoria internazionale promossa dalla Procura della Repubblica di Roma all'autorità giudiziaria di Basilea, a margine dell'inchiesta che portò al recupero del famoso vaso di Assteas dal Getty Museum di Malibù. In particolare, i carabinieri evidenziarono la figura di un intermediario, Gianfranco Becchina, il quale aveva curato la vendita del vaso al museo californiano. La sua posizione non passò inosservata agli investigatori, che intensificarono icontrolli sul trafficante, partito da facchino d'albergo e diventato titolare di una galleria d'arte in Svizzera con volumi d'affari miliardari.

I reperti venivano venduti a collezionisti inglesi, tedeschi, statunitensi, giapponesi e australiani, ma anche a grandi musei stranieri, con intermediazioni e triangolazioni effettuate per rendere credibile ed apparentemente legale la compravendita, oppure facendoli confluire in collezioni private costruite per simulare una detenzione regolare. Becchini e i suoi complici non rischiano però di essere condannati per ricettazione in quanto il reato è prescritto. 

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