venerdì 16 gennaio 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
Non esiste religione, nemmeno la più spirituale, che non abbia un correlativo materiale: oggetti che sono investiti di un’aura sacra, che divengono simboli. Questa considerazione è alla base dello studio approfondito e lucido di Fabietti sulla relazione tra la religione e il mondo degli oggetti.Tanto per riferirci al nostro mondo cristiano: la croce non è solo un simbolo, ma un oggetto reale, diffuso nell’impero romano, e su una croce fu ucciso crudelmente Gesù Cristo. Per ogni uomo di cultura cristiana, anche non credente, è un simbolo preciso. Per il credente ogni crocifisso, in chiesa o in casa, è di più. Gli oggetti non sono metafore, ma simboli, realtà che mettono in comunicazione due mondi. Ognuno tende da sempre a considerare feticci gli oggetti venerati da altre culture, senza riconoscere il rapporto religioso che unisce uomini di diversa religione al divino attraverso oggetti simbolo. Ma lo scettro di Agamennone, i mille oggetti di culto nella storia religiosa dell’umanità, non sono feticci: l’uomo non può guardare oltre il suo orizzonte annullando la propria realtà terrena.Importante in questo libro la messa a fuoco di un problema storico: la tendenza del pensiero monoteista d’Occidente a non riconoscere la natura di religione al pantheon greco. Accostandosi a Vernant, Fabietti sostiene – e condivido – che quella dei greci è religione, eccome, ma altra, diversa rispetto al pensiero monoteista. Il saggio quindi manifesta la sua natura comparatista profonda: considerando il fatto religioso non un mero fenomeno storico, ma una realtà primaria, innata (almeno così mi pare), cerca di correlare il rapporto delle diverse religioni con gli oggetti che fungono da tramite simbolico.Ogni credenza ha i suoi spiriti, i suoi angeli… Lo sappiamo, ce lo insegnano da sempre i mistici e i poeti. Ma anche oggetti in cui lo spirito si sofferma. Lo scettro divino, le statuine del presepe, la churiga, assicella lignea degli aborigeni contenente i simboli dei viaggi nel tempo degli antenati. La religione non esiste mai in forma del tutto incorporea. È roba di umani, non di puri spiriti.Fabietti chiarisce sin dall’inizio che la questione è antropologicamente fondamentale: in ogni religione, anche se ufficialmente aniconica, esistono immagini, in ogni esperienza religiosa gli oggetti, che circondano il corpo e vi convivono, entrano in relazione con la realtà trascendente. L’autore afferma, ed è un punto estremamente  importante, che (pur nominandolo anche nel titolo) non si occupa del «sacro», ma del «trascendente». Realtà inequivocabile, non adombrabile. Fabietti non parla della religione come puro fatto storico (aspetto che assolutamente non trascura), ma come realtà archetipica, antropologica, dell’uomo che cerca  (e a volte trova) il trascendente. Di fatto è distante dai riduzionismi dell’Ottocento, storicisti, poi positivisti, che vedevano la religione come fenomeno storico, modalità in cui l’uomo inventa il divino. E si allinea con il pensiero più maturo, di Otto, di van der Leeuw, di Eliade, che scoprono la realtà dell’homo religiosus.A questo punto una domanda: come è possibile che nel capitolo iniziale sui fondamentali, sulla situazione dello studio delle religioni, e di conseguenza nell’indice dei nomi, manchi Julien Ries? Ries, morto da poco, è lo studioso gigantesco che ha elaborato antropologicamente la categoria di homo religiosus, spingendo la sua indagine (con opere fondamentali sulle religioni dai greci agli egiziani) fino alla preistoria. La sua opera ha influenzato i grandi paleoantropologi. Yves Coppens, uno dei maggiori, tiene conto delle ipotesi di Ries nello studio dell’evoluzione umana. Stupisce questa assenza, proprio per la serietà e l’acutezza di questo studio utile e suggestivo.
Ugo Fabietti
Materia sacra
Corpi, oggetti, immagini, feticci nella pratica religiosa
Raffello Cortina. Pagine 310. Euro 25,00
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: