sabato 25 novembre 2023
In scena il capolavoro dimenticato del maestro toscano che ha come sfondo il 1973, anno della riapertura del teatro. Droga, cene eleganti, night club per raccontare gli eccessi di vite senza amore
Il secondo atto de “La rondine" al teatro Regio di Torino

Il secondo atto de “La rondine" al teatro Regio di Torino - Andrea Macchia-Teatro Regio

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Il nome di Giacomo Puccini riempie i cartelloni lirici di tutta Italia (e anche nel mondo). Non poteva essere altrimenti alle soglie del 2024, l’anno in cui si celebra il centenario della morte del genio toscano. Grazie al cielo ci sono teatri che provano ad andare oltre certi schemi “facili”. È il caso del Regio di Torino che al maestro di Lucca dedica due titoli della sua stagione: Le Villi, opera d’esordio e raramente eseguita, che andrà in scena a fine aprile; e La rondine che viene proposta in questi giorni. Destino strano per questa perla della maturità pucciniana. Fin dal suo debutto non ha mai incontrato un particolare favore del pubblico. E ancora oggi gli spettatori si dividono. Basta orecchiare i commenti all’uscita del teatro della città sabauda: c’è chi ne critica l’oblio troppo rapido e che per certi versi ancora perdura; chi, invece, concorda con l’archiviazione sbrigativa. Forse perché è una partitura ibrida, nata come operetta che a Puccini era stata commissionata in quel di Vienna e diventata una commedia lirica di caleidoscopica varietà.

“La rondine' al teatro Regio di Torino

“La rondine" al teatro Regio di Torino - Andrea Macchia-Teatro Regio

Resta il fatto che, quando cala il sipario, il pubblico fa quasi fatica ad applaudire, preso e perso com’è nel vortice di una musica struggente e calamitica con la quale il compositore cesella la scelta sofferta e consapevole della protagonista Magda che all’amore vero preferisce quello effimero da “cene eleganti”. Non è però ambientata ai nostri giorni la nuova produzione torinese. Ma neppure nella Parigi del Secondo Impero a metà dell’Ottocento, come vuole il libretto. Il regista Pierre-Emmanuel Rousseau la sposta nel 1973: un omaggio al Regio che celebra il mezzo secolo della sua ricostruzione e che riapriva negli anni a ridosso del “maggio francese”. Il tributo è ben evidente nel secondo atto dove la grande festa in cui i sentimenti puri e l’eccesso si passano l’un l’altro il testimone ha come sfondo una sorta di night club dove dominano il rosso del teatro e il suo stile architettonico e dove si leva l’inno all’amore con il celebre quartetto “Bevo al tuo fresco sorriso”. È pero l’ambivalenza il perno che viene esaltata dalla presenza di donne e uomini travestiti: rimando alle indicazioni del libretto che vuole Magda mascherata per sfuggire ai suoi spasimanti.

“La rondine' al teatro Regio di Torino

“La rondine" al teatro Regio di Torino - Andrea Macchia-Teatro Regio

Gli altri due atti si svolgono in un grande loft nero, pantera e oro, che accoglie un after party in cui gli invitati sono ubriachi e drogati. L’eccesso come via della felicità che non può esserci ma che alla fine viene desiderata e invocata da Magda nell’aria “Chi il bel sogno di Doretta”. Lei che vorrebbe essere una rondine e volare verso il suo sogno d’amore fedele e puro, ma che lo sacrificherà sull’altare della mondanità. A Torino la prima dell’opera salta per uno sciopero delle maestranze. Ma nelle varie repliche il teatro è quasi esaurito: buon segno. Sul podio Francesco Lanzillotta è più verdiano che pucciniano. Ottima la prova dell’orchestra. Nel cast spicca Olga Peretyatko che, nonostante una massa vocale non possente, si cala a pieno nei tormenti e nelle contraddizioni di Magda. Meno coinvolgente il Ruggero di Mario Rojas, l’amore autentico che la protagonista trova e poi respinge. Buona prova sia di Santiago Ballerini che interpreta il poeta (macchinatore) Prunier, sia di Valentina Farcas, una Lisette vispa e incisiva. Nella Rondine non c’è catarsi attraverso l’amore, solo miseria del cuore e della mente. Finale amaro cui si giunge dopo tre ore di una musica brillante, ironica, spruzzata di sapido cinismo, che fa di questo lavoro pucciniano una gemma preziosa, chiave d’accesso per le partiture della sua ultima stagione creativa.

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