martedì 12 aprile 2011
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Quella che chiamiamo «globalizzazione» continua a mutare profondamente il configurarsi delle società e il peso della soggettività individuale, quanto meno nel mondo più avanzato: cambiano così gli scenari della politica e gli stessi modi di essere delle religioni, non scomparse, ma al contrario presenti con una maggiore incisività e influenza. Il problema che si pone alla democrazia è quello di consentire una presenza pubblica delle religioni, senza far venire meno, anzi rafforzando, il ruolo dello Stato di diritto. Una dimensione pubblica delle religioni è una ricchezza per la nostra convivenza nella società e per la stessa democrazia, nella misura in cui si accompagni – in modo inseparabile – al pluralismo religioso. L’autonomia delle minoranze culturali e religiose non deve essere violata attraverso ingerenze che vietino esperienze e pratiche coerenti con i principi delle Costituzioni e della «Dichiarazione universale dei diritti della persona». Per la politica progressista si tratta oggi di approfondire la conoscenza e il rapporto con le religioni: in Europa devono essere realizzate le condizioni per affermare nella quotidianità, come normale, il pluralismo delle fedi e delle culture. È indispensabile evitare che si allarghino i fossati tra cultura laica e cultura religiosa: la necessità è quella di ridefinire un minimo comune denominatore di valori, un’etica condivisa. Occorre fare della laicità un riferimento universale, nel quale si riconoscano credenti e non credenti. Le forze politiche progressiste europee devono far venir meno ogni pregiudizio, ostilità o anche soltanto incomprensione nei confronti del fenomeno religioso. Nell’assenza di strumenti adeguati e democratici di governance mondiale, la diffusione della cultura democratica, delle libertà fondamentali, della tutela dei diritti umani non può essere affidata ai soli partiti: è essenziale coinvolgere le forme nuove della politica contemporanea, le associazioni, le organizzazioni non governative. A mio giudizio, le religioni possono svolgere un ruolo non solo decisivo, ma insostituibile. Naturalmente non è un esito scontato: esso esige un clima sociale di considerazione e rispetto; domanda alle forze progressiste l’impegno per realizzare una secolarizzazione non distruttiva, correggendone quei tratti che in Europa avevano messo ai margini, come arcaica, l’esperienza religiosa; richiede alle religioni la messa al bando di ogni giustificazione nei confronti dell’intolleranza e della violenza. La fratellanza non può essere circoscritta a quanti condividono la stessa fede: deve saper abbracciare, per ogni confessione religiosa, l’intera umanità. Obiettivo comune è la costruzione di un’etica che chiuda la lunga fase storica egemonizzata dal rapporto amico-nemico, fonte di identità culturali e religiose contrapposte, giustificazione ideologica di conflitti e scontri che hanno accompagnato il contraddittorio avanzare della civiltà umana. La nostra ambizione deve essere quella di dar vita a un nuovo umanesimo, fondato sulla consapevolezza che la persona umana non esiste nella sola dimensione della sua fisicità, ma ha anche una dimensione spirituale, un bisogno e un’aspirazione alla trascendenza. Un nuovo umanesimo rivoluziona le culture politiche che ci hanno accompagnato negli ultimi secoli: nella società di domani non si tratterà certo di imporre la presenza di Dio o di una particolare fede per dare una risposta univoca alle inquietudini della nostra vita. Ma al tempo stesso Dio non potrà essere bandito dalla nostra convivenza, come un residuo arcaico, di un tempo della superstizione. Le conquiste dell’illuminismo, la stessa secolarizzazione sono fondamentali per l’uomo moderno: hanno purificato anche le fedi religiose – alcune, non ancora tutte – da incrostazioni e oscurantismi segnati su di esse dalle vicende del tempo. Quelle conquiste devono essere liberate da una pregiudiziale di rifiuto di Dio per consentire, nella società post-moderna, il confronto e la presenza di un pluralismo di fedi religiose e di culture, il loro misurarsi e convergere attorno a un impegno che abbia al suo centro il destino dell’uomo. Abbiamo bisogno, sia dal versante laico – e questa espressione risulta al tempo stesso tanto utilizzata, quanto impropria – sia dal versante religioso, di realizzare un incontro, non episodico ma permanente, tra ragione e fede, in un reciproco rispetto e nella reciproca consapevolezza e disponibilità a uno scambio di apporti, per il bene comune della famiglia umana. È questo l’orizzonte al quale dobbiamo saper guardare, la prospettiva verso cui muovere, sapendo che il cammino non è facile, ma con la fiducia di essere in grado di percorrerlo.
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