venerdì 2 giugno 2023
Simone Lombardo analizza le azioni quotidiane di genovesi e veneziani nelle crociate del tardo Trecento. Trascurate dagli studiosi, spiegano invece le trasformazioni delle rotte mediterranee
“La cattura di Damietta” di Cornelis Claesz van Wieringen, 1627 (Haarlem, Frans Hals Museum)

“La cattura di Damietta” di Cornelis Claesz van Wieringen, 1627 (Haarlem, Frans Hals Museum) - WikiCommons

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Una nuova ricerca, solidamente condotta su fonti d’archivio, è sempre una buona notizia. Se essa, poi, ha l’ambizione d’intersecare il materiale documentario con questioni e problemi di portata generale si può dire che abbia colto nel segno. È fra questi termini che muove il libro di Simone Lombardo La croce dei mercanti. Genova, Venezia e la crociata mediterranea nel tardo Trecento 1348-1402 (Brill, pagine 652, euro 156,00) dedicato – per rimanere larghi – alle mutazioni incorse dall’idea di crociata, capace di barcamenarsi tra due poli solo apparentemente opposti: unendo al “come vivevano” il “cosa pensavano”, adottando, cioè, nell’ambito di problemi concreti, lo sguardo dei cultural studies, attento all’immaginario, alle credenze, ai sentimenti. Un approccio che, in ossequio a maestri come Johan Huzinga o Marc Bloch, mi piace seguitare a definire con l’espressione “storia delle mentalità”, applicato a un periodo specifico della storia del Mediterraneo: il mezzo secolo posteriore alla grande peste di metà Trecento; palestra importante per porre a verifica alcune parole vergate da Roberto Lopez nel 1977, capaci – a mio avviso – di fornire il miglior compromesso possibile fra due modalità d’approccio alla ricerca storica che hanno segnato l’ultimo secolo: «Ai miei studenti raccomando di fare macrostoria con microstoria per materia prima; cioè, idee larghe e suggestive, esempi e modelli stretti e precisi».

È in questo senso che Lombardo si muove, analizzando il modo in cui l’idea di crociata ha mutato connotati in ragione di quel grande evento, capace di destabilizzare le coscienze di un’Europa e di un Mediterraneo in profonda trasformazione. Perché di eventi si può, senz’altro, parlare, senza, per questo, anteporre i fatti alle strutture. Nel momento in cui lo storico mette su carta il proprio lavoro si costringe a riannodare i fili d’un ordito sfuggente – perfino strappato, se si considerano i documenti perduti –, caratterizzato da maglie apertissime. Ma, certo, l’avvenimento rimane pur sempre la schiuma; per citare Jacques Le Goff, «la pointe de l’iceberg», il segnale di qualcosa di più profondo, talvolta impercettibile. Ed è alle correnti profonde che l’autore guarda, giovandosi di un osservatorio privilegiato, se non altro per abbondanza e qualità di fonti: quello genovese-veneziano. Genova e Venezia costituiscono il primo termine di comparazione in quello ch’è, a tutti gli effetti, un esperimento di storia comparata. La Croce dei Mercanti analizza il modo in cui l’idea di crociata ha mutato aspetto nella seconda Trecento, con particolare riguardo a due realtà particolarmente implicate con l’Oriente mediterraneo. In che misura il pragmatismo mercantile ne abbia condizionato l’accoglienza è l’argomento di fondo. Nel corso della seconda metà del secolo, il Mediterraneo centro-orientale conobbe una serie di trasformazioni capaci di alterarne l’assetto politico, religioso e culturale. Il progressivo affermarsi della potenza ottomana sulla costellazione di potentati turchi che, nei decenni precedenti, aveva occupato le coste anatoliche così come il conseguente acquisto d’una capacità navale contribuirono a modificare il quadro, favorendo, di concerto con l’Egitto mamelucco, il restringimento delle frontiere marittime della Cristianità, tanto latina quanto greca. Col senno di poi si può dire che l’ingresso dei Turchi in Europa, nel 1354, segni un punto di non ritorno. Ma, certo, a quella data, la partita per il controllo delle principali rotte commerciali così come degli itinerari di pellegrinaggio pareva ancora aperta.

La storiografia ha prestato scarsa attenzione allo sviluppo di quello che, nei due secoli precedenti, era stato lo strumento maggiormente utilizzato per bilanciare la presenza islamica sulle sponde del Mediterraneo. La crociata – consolidatasi progressivamente come mezzo per l’allargamento del nome cristiano, oltre che per la difesa delle prerogative papali – subì un’ulteriore evoluzione, adattandosi a quello ch’era avvertito alla stregua d’un nuovo pericolo. Generalmente, si è preferito etichettare le nuove spedizioni come «crociate tardive», pallida riproposizione di quelle precedenti; prima che la retorica umanistica contribuisse a riportarle in auge. Non a caso, i pionieristici lavori di Nicolae Iorga e Aziz Atiya prendevano le mosse dalla spedizione di Nicopoli, dedicando poco spazio a quanto accaduto dopo la caduta di Acri, nel 1291. La recente revisione della tradizionale distinzione terminologica fra Kreuzzüge e Türkenkriege, proposta da Adolph Waas e da parte della storiografia tedesca – fuorviante giacché inesistente dal punto di vista (anche giuridico) dei contemporanei – ha consentito nuove strade. Concentrandosi sul periodo compreso fra la cosiddetta crociata di Smirne, consumatasi fra il 1343 e il 1351, e quella di Nicopoli, del 1396, il libro di Simone Lombardo supera tale prospettiva, scendendo nella quotidianità della gente di mare impegnata a sostenere l’urto del dinamismo turco, piegando la crociata ai propri bisogni.

I sette capitoli di cui si compone il volume affrontano tematiche cruciali. Dopo un inquadramento generale si procede analizzando la cronachistica di entrambe le città. Quindi, le testimonianze documentarie, con particolare riguardo a pellegrini e mercanti e ai rispettivi testamenti. Dopodiché, si guarda alla frontiera mediterranea: uno «spazio inquieto», secondo Lombardo, in cui agiscono profughi, esuli, prigionieri, minoranze; personaggi-ponte capaci di tradurre culturalmente le istanze di mondi contermini secondo un pragmatismo inusitato. Infine, gli eventi, descritti e narrati con dovizia di particolari, nell’ambito della diplomazia posta in essere dalle due città, con particolare riguardo alla creazione di leghe navali sottoposte al patrocinio papale, fornite d’un comando unitario, promosse appositamente per contrastare turchi e mamelucchi. Nel complesso, un quadro coerente e documentatissimo di un periodo di eccezionale importanza, che si chiude con una domanda: genovesi e veneziani erano soltanto opportunisti? Certo, la crociata trovava posto saltuariamente fra i loro pensieri. Ma non era assente. Senza rivelare troppo, si può dire che il libro mostri efficacemente la via per risolvere l’annoso problema delle motivazioni – materiale o religiose – della crociata in sé. E qui sta, forse, la sua forza.

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