giovedì 12 ottobre 2017
Il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura pubblica "La Bibbia secondo Borges". Il percorso tra le pagine di un "profeta" che culmina nella riflessione sulla Croce
Jorge Luis Borges

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Anche gli interpreti, come gli scrittori, hanno i loro temi ricorrenti, gli snodi irrinunciabili senza i quali l’intero edificio – dell’opera oppure del commento – non potrebbe sostenersi. Per Jorge Luis Borges (1899-1986) la teologia, da lui allusivamente assimilata alla «letteratura fantastica», è stata la principale di queste ossessioni. Per un lettore eccellente di Borges, il cardinale Gianfranco Ravasi, il riferimento inevitabile per orientarsi nel corpus del grande argentino è uno dei racconti contenuti nel Manoscritto di Brodie (1970). Titolo semplicissimo, e addirittura magnetico agli occhi di un biblista esperto come Ravasi: Il Vangelo secondo Marco. E non meno semplice, nella sua terribile assolutezza, è lo svolgimento della storia, con lo sperduto e ancora barbarico villaggio contadino nel quale il racconto della Passione di Cristo viene preso alla lettera, destinando alla morte e insieme all’adorazione l’incolpevole straniero che per primo ha portato laggiù la vicenda del Dio sacrificato in Croce.

Il Vangelo secondo Marco è un testo che Ravasi ama particolarmente e che adesso troviamo riecheggiato già nel titolo del saggio che il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura ha voluto dedicare a uno dei suoi autori prediletti. Sintetico quanto affascinante, La Bibbia secondo Borges (Edb, pagine 72, euro 7,00) è un piccolo libro che andrebbe letto in continuità con un altro importante contributo scritturisticoletterario di Ravasi, Manzoni e la Bibbia, edito da Salerno lo scorso anno. Ma se in quel caso l’atteggiamento filologico risultava prevalente, attraverso la ricostruzione puntuale delle fonti via via riconoscibili nei Promessi Sposi e nelle altre opere manzoniane, questa volta il ragionamento procede con maggior disinvoltura metodologica, rasentando spesso la testimonianza autobiografica.

Nel momento in cui si sofferma sul rapporto fra Borges e papa Bergoglio, per esempio, Ravasi rievoca il Cortile dei Gentili svoltosi nel 2014 a Buenos Aires, a pochi mesi dall’elezione di Francesco. Quella che attraversa La Bibbia secondo Borges è una storia di libri e di incontri, dunque, con l’edizione delle opere complete dello scrittore che passa di mano dal Papa al cardinale e, prima ancora, con la nonna inglese di Borges, Fanny, che introduce il piccolo Jorge Luis alla conoscenza delle Scritture. Viene così gettato il primo seme della duplice convinzione che accompagnerà lo scrittore per tutta la vita, e cioè che i Vangeli non solo rappresentino uno dei poemi fondamentali dell’umanità insieme con l’Iliade e l’Odissea, ma anche che «la storia di Cristo non possa essere narrata meglio».

Fedele a questa intuizione, Borges ha poi rielaborato a più riprese le vicende di Caino e di Giuda, figure emblematiche del tradimento e della colpa, ma si è accostato con particolare circospezione al vero protagonista dei Vangeli: «Alla base della cristologia borgesiana – annota Ravasi – c’è indubbiamente l’umanità di Gesù di Nazaret che nasce e muore, pur proclamandosi Figlio di Dio e quindi assegnandosi una qualità trascendente».

Borges non racconta Cristo, dunque, ma questo non gli impedisce di immaginarne la voce interiore in una poesia che Ravasi pone giustamente al vertice dell’esplorazione di questo che già Leonardo Sciascia definiva «il più grande teologo del nostro tempo: un teologo ateo». Si tratta di Giovanni I, 14 , citazione niente affatto indiretta del mistero dell’Incarnazione. «Fui amato, compreso, esaltato / e sospeso a una croce», dice il Cristo di Borges, che altrove viene indicato come il terzo e defilato tra i suppliziati del Golgota. Forse, suggerisce Ravasi in conclusione, il modo migliore per comprendere il legame tra Borges e la Bibbia è fornito dalla Bibbia stessa e per l’esattezza dal Libro dei Numeri, nel quale incontriamo il profeta pagano Balaam. A seconda delle versioni, il suo occhio è definito «chiuso» ( shetum) o «penetrante» (shettam), qualifiche che si addicono entrambe al cieco e visionario Borges, per il quale, osserva Ravasi, «il volto di Cristo è da cercare negli specchi ove si riflettono i visi umani».

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