Il vescovo di Acireale, Antonino Raspanti
«Com’è possibile che una terra ricca di cultura e di meraviglia come la Sicilia sia in continua emergenza e in perenne crisi? Perché i giovani vanno via da qui? La cultura e il turismo devono essere strumenti di sviluppo, non solo idee e ragionamenti fini a sé stessi ». Ne è convinto il vescovo di Acireale, Antonino Raspanti, vicepresidente della Cei per il Sud, da pochi mesi nominato da papa Francesco anche nel Pontificio consiglio della Cultura. Di questi temi - cuore portante della sua azione pastorale - si è fatto promotore accogliendo ad Acireale i partecipanti al Simposio sul Turismo Conviviale “Verso un modello italiano di cammino di fede” organizzato dall’Ufficio nazionale per la pastorale del tempo libero, turismo e sport. «Unire cultura e sviluppo, tradizione e innovazione. In questo senso i cammini possono essere una straordinaria occasione di crescita. Personale e spirituale, ma anche comunitaria e socio-economica».
Monsignor Raspanti, vanno in questa direzione il Contamination Lab inaugurato a dicembre che mette in rete le start up del territorio, e la realizzazione, fra i primi in Italia, del parco ecclesiale dell’Etna e dell’Alcantara? C’è fermento sotto il vulcano?
Sono forme di animazione territoriale che servono a stimolare un senso di appartenenza e un legame con le proprie radici. Conoscere il territorio e creare opportunità di crescita. Il parco in particolare è un esempio interessante di presentarci come comunità in cammino, unita, con proposte adeguate alle esigenze diverse di viaggiatori diversi. Dai nostri monumenti più importanti alle chiesette – purtroppo con le ferite prodotte dal terremoto del dicembre 2018, che meritano attenzione e cura – lungo i percorsi naturalistici dell’Etna, dal castello di Calatabiano fino all’Alcantara. Un racconto dove il territorio si senta protagonista. E che cerca di parlare il linguaggio della modernità, dell’innovazione. Perché la cultura possa offrire strumenti di sviluppo. Da due anni come Cesi abbiamo anche attivato insieme alla Regione Sicilia un tavolo permanente con i delegati delle pastorali del turismo e gli assessorati ai Beni culturali e al Turismo per generare un percorso virtuoso che affronti la questione meridionale e i temi del lavoro con la cifra della cultura. Segnalo due iniziative: il primo corso, appena cominciato, per la formazione delle guide turistiche sul patrimonio ecclesiastico; e poi la mappatura e la valorizzazione dei cammini siciliani con tutto quello che essi rappresentano per il pellegrino e per le comunità, per l’ospite e per chi accoglie.
Parlare di turismo e di cammini in questa terra fra il mare e l’Etna, con operatori turistici di tutta Italia, diventa l’occasione per riflettere sul cammino di una terra, di una comunità e dei suoi figli più giovani, in cerca di un futuro lontano da qui…
Quella dei giovani è una vera e propria emergenza. I vescovi siciliani sono intervenuti, anche al fianco del movimento delle valigie, invitando a fare fronte comune contro la perdita del capitale umano, il più prezioso di questa terra di grandi ricchezze artistiche e naturali. Purtroppo dobbiamo fare i conti con un tessuto sociale alterato, lacerato. Ci siamo creati desideri che sono diventati pretese, precauzioni che sono diventate paure, in una maniera così stringente che alla fine ci soffocano, ci fanno pensare che soltanto andando via da qui sia possibile vivere o sopravvivere, riuscire ad avere soddisfazione, realizzarsi.
Ansia di ricerca, senza la libertà di poter scegliere, ma anche incapacità di vedere a fondo le cose? La Sicilia è grande, ha una storia enorme e un bagaglio culturale notevole, da avere legami con le più importanti società del mondo, dalle quali assorbire, importare desideri, progetti, immaginazioni. Però quando desideri che questo accada qui, tutto sfuma. Ci sentiamo inadeguati, perché mancano tante cose, e quindi ci chiediamo sempre - ed è una domanda terribile - se i contatti avuti con il mondo fuori, se i desideri instillati che passano anche attraverso l’ascolto della musica, la frequenza della scuola e dell’università, i contatti massmediali, siano eccessivi e ci fanno vivere pensando che l’altrove sia sempre meglio e lontano. Questo cercare confuso – che è diverso da un legittimo percorso di crescita e di arricchimento personale – onestamente crea una società sfasata rispetto al presente. Dal punto di vista spirituale, significa non riuscire a entrare nel cuore delle piccole cose ed essere quindi felici.
I giovani siciliani vanno via, mentre la Sicilia si pone come terra di attrazione. Come riuscirci nel tempo del turismo sempre più globale?
Se noi siciliani per primi non siamo contenti e felici – e noi mediamente non lo siamo, perché culturalmente, nella produzione letteraria, artistica ci caratterizziamo spesso per un profondo senso del tragico – non possiamo essere attrattori veri. Per questo viaggiatori e scrittori stranieri restano choccati dalla contraddizione stridente e palese fra eccezionali scene di bello e mostruose rappresentazioni di brutto. Questo ha fatto sì che la nostra terra non sia mai veramente attraente per viverci, ma semplicemente per attraversarla, un po’ per visitarla. Senza – mi pare che le statistiche lo dicano – che difficilmente i turisti globali tornino.
Come invertire questa visione?
Il Vangelo è un invito alla conversione a cambiare mentalità: la sfida è nella capacità di cogliere la buona novella, non nel-l’altrove, ma qui e adesso. Di superare il senso del tragico nel quale noi ci dibattiamo e che ci fa pensare che possa soltanto esserci una risposta eroica nella tragedia. In realtà nel Vangelo scopri che essere umano è nella semplicità. L’eroismo è nella semplicità. Per le nostre chiese la sfida è esattamente questa: riuscire a proporre una testimonianza di vita eroicamente semplice che riesca a pacificare questa ebollizione continua che sta nel cuore di ogni siciliano.
Proprio sotto il vulcano? Come si fa?
Serve uno scatto di tutto il territorio. La bellezza non è un dato, è un frutto fra ciò che ricevi anche dal punto naturalistico e ciò che tu sai comporre in una perfetta integrazione con il vissuto degli uomini. Non basta un monumento bello, deve essere bello tutto il territorio, la coltivazione di una vite, di un albero, una strada, i servizi, le infrastrutture. Se il territorio è degradato, distrutto, bombardato, pieno di buchi, non è attraente. Per questo servono azioni corali, iniziative di comunità. Come possono essere i percorsi dei parchi o dei cammini.
Qual è per lei il senso più autentico del cammino?
In Belgio, e ormai non sono lì, si permette di mettere alla prova i detenuti affrontando i cammini. Perché? Perché alla fine del percorso si ha una storia da raccontare, la propria. Questo dobbiamo fare. Raccontare le nostre storie. E condividerle. Per crescere insieme come comunità in cammino.
In cammino sui "sentieri" lavici dell'Etna - G.Matarazzo