La scrittrice Ada d'Adamo - ANSA
La vincitrice del Premio Strega 2023 è Ada D'Adamo con il libro Come d'aria, a ritirare il Premio è stato il marito Alfredo Favi. La scrittrice – scomparsa lo scorso aprile -, seconda vincitrice negli ultimi 20 anni, ha avuto la meglio su Rosella Postorino con Mi limitavo ad amare te, che era una delle favorite per la vittoria finale e sui restanti scrittori e scrittrici Maria Grazia Calandrone, autrice di Dove non mi hai portata (Einaudi), Andrea Canobbio, autore di La traversata notturna (La nave di Teseo) e Romana Petri, autrice di Rubare la notte (Mondadori). Come sempre la finale è stata trasmessa in diretta su Rai 3 dal Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma, con la conduzione di Geppi Cucciari. Qualche mese fa D'Adamo era stata premiata con lo Strega Giovani.
L'editrice Loretta Santini, Alfredo Favi, marito della vincitrice Ada d'Adamo, Elena Stancanelli e Andrea D'Angelo al termine della serata di premiazione del Premio Strega 2023 - ANSA
La morte dell’autrice, avvenuta all’inizio di aprile all’età di 55 anni, ha reso il romanzo di Ada d’Adamo, Come d’aria (Elliot, pagine 144, euro 15,00), un caso letterario. Opera prima della scrittrice, esperta di teatro e danza contemporanea, è tra i 12 libri candidati al premio Strega, la cui cinquina verrà decisa a Benevento mercoledì prossimo. In molti ipotizzano in questo caso quello che potremmo chiamare "effetto Bellonci". Maria Bellonci, che aveva fondato nel 1947 il premio Strega, nel 1986 candidò se stessa con Rinascimento privato, che avrebbe vinto con la stragrande maggioranza dei voti, dopo che l’autrice era scomparsa poche settimane prima per un male incurabile. Uno dei membri della giuria, la poetessa Maria Luisa Spaziani, ebbe l’onestà intellettuale di riconoscere che l’altissimo numero di preferenze che aveva decretato quella vittoria andava inteso soprattutto come un omaggio in memoriam alla figura dell’autrice, oltre che come segno di apprezzamento per un’opera comunque dotata di valore.
Fatta questa premessa di contesto, bisogna riconoscere che il libro di Ada d’Adamo non manca certo di qualità. La prima delle quali è l’intensità emotiva derivante dalla verità umana di quanto raccontato. Il libro, esplicitamente autobiografico, prende le mosse dalla malattia che ha colpito l’autrice alcuni anni fa, un cancro che nel prologo del romanzo è già al quarto stadio. La prognosi è infausta e la protagonista è consapevole del fatto che non le rimane molto da vivere. Ma si intuisce che la sua preoccupazione più grande è, come molte volte accade ai genitori di figli con disabilità, il destino che attende la figlia Daria, ormai adolescente, quando la madre non ci sarà più. Perché Daria ha una rara malattia congenita, il cui nome tecnico è oloprosencefalia: il corpo si è sviluppato conformemente all’età, ma "a questa crescita ponderale (...) non corrisponde uno sviluppo intellettivo, né l’acquisizione di una qualche autonomia. Dai pannolini siamo passati ai pannoloni, lavarti è diventato difficile, non solo per le mie scarse forze".
Da questo breve brano si può facilmente intuire il dramma di una madre chiamata a occuparsi di una figlia che dipende in tutto da lei. Certo, sulla carta le leggi ci sono, come quella per l’inclusione scolastica, ma la cronica mancanza di risorse adeguate per i servizi sociali, la lentezza della burocrazia, l’insensibilità di qualche suo funzionario riempiono la strada di ostacoli che in molti casi potrebbero essere evitati anche solo con un po’ di sensibilità e buon senso. Per non parlare della cattiveria gratuita di chi per strada non sa trattenere un moto di disgusto alla vista di Daria. Per fortuna c’è anche la bontà di tanti compagni di scuola, capaci di gesti sinceri, generosi, commoventi.
Come d’aria è il racconto, in parallelo, della malattia della madre e del disagio della figlia, ripercorso a ritroso dalla voce narrante della donna che parla alla seconda persona alla sua bambina ormai ragazza. La figlia diventa donna mentre la madre sta morendo. Ma non può avvenire un passaggio di testimone, perché Daria non sarà in grado prendere il posto di Ada nel mondo. È comprensibile che di fronte a tanta sofferenza una madre si chieda se non sarebbe stato preferibile che quella figlia non nascesse: anche se, da quando è nata, lei sarebbe pronta a rinunciare alla propria esistenza purché potesse continuare quella della figlia. Nonostante in gravidanza Ada si fosse sottoposta a tutti i controlli di routine, il suo ginecologo non aveva individuato nella nascitura la patologia. Si inserisce qui una riflessione della voce narrante sul cosiddetto "aborto terapeutico", riflessione che rimane problematica. A un certo punto la narratrice si chiede: "Perché mi sono ammalata di cancro? Forse avevo qualche colpa da espiare. Una colpa grande, la peggiore che si possa immaginare". Quasi dialogando con la figlia, Ada spiega che, a fronte di una minaccia di aborto spontaneo che aveva spinto i medici a prescriverle riposo assoluto, lei, temendo di essere abbandonata dal compagno (per non perdere il quale già due anni prima aveva interrotto una precedente gravidanza), si era messa a correre per Roma in motorino: "Di quella corsa in motorino non ricordo i particolari, ma credo di aver preso di proposito qualche buca e di averne evitate tante altre, dibattendomi nel duplice desiderio di ucciderti e di salvarti. (...) Eri già tu, quel giorno? O sei diventata tu per colpa mia?".
Ci vuole davvero grande coraggio a mettersi a nudo in modo così diretto. Significa attribuire alla scrittura un valore catartico, quasi di confessione in pubblico. E forse è proprio questo che impressiona soprattutto nel romanzo: la volontà di andare al fondo del dolore e dei sensi di colpa per provare a superarli in un’ottica di redenzione. Non c’è un’apertura esplicita a una dimensione trascendente, ma già questo fare i conti della scrittrice con se stessa è un modo di illuminare il proprio vissuto in una prospettiva di verità. E il lettore non può non rimanerne colpito.