martedì 12 settembre 2023
A 25 anni dalla morte un doc della regista Maite Carpio, in onda in prima serata su Rai1, racconta il fenomeno Battisti con filmati inediti e la testimonianza-guida dell’ex sodale Mogol
Il cantautore Lucio Battisti (1943-1998)

Il cantautore Lucio Battisti (1943-1998) - Cesare Monti

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Un quarto di secolo senza Lucio. L’assenza più presente della canzone italiana. Ma alla invisibilità Battisti ci aveva già abituati da un altro quarto di secolo abbondante. Da quell’ultima apparizione televisiva del 23 aprile 1972 in duetto a Teatro 10 con Mina, l’altra grande assente (a partire da sei anni dopo) della musica leggera. Quella domenica sera tra i “cinque amici” che avevano accompagnato Lucio a duettare con la Tigre di Cremona c’era il batterista Gianni Dall’Aglio, il preferito anche di Celentano. E’ uno dei testimoni oculari dell’epopea battistiana di cui la regista Maite Carpio si avvale nella brillante costruzione del documentario Lucio per amico – Ricordando Battisti che andrà in onda il 13 settembre in prima serata su Rai 1 nel venticinquesimo anniversario della scomparsa del geniale rivoluzionario della musica pop italiana.

Era il 9 settembre 1998 quando all’improvviso, di mattina, piombò nelle case degli italiani la terribile notizia. Un fulmine a ciel sereno per tutti, anche se tra gli addetti ai lavori voci sul suo ricovero all’ospedale San Paolo di Milano avevano cominciato a circolare giorni prima e, da qualche ora, anche di un aggravamento del quadro clinico. Poi quella triste mattina il suo canto si è liberato per sempre, rinverdendo negli italiani prepotentemente un lascito sentimentale senza eguali sedimentato in decenni, di generazione in generazione. Le sue melodie e le parole cucite addosso a quelle note eterne da Mogol non hanno mai cessato di essere un fiume in piena capace di trascinare amori, emozioni, angosce, gioie, vita quotidiana di ciascuno. Parlando di noi. Di tutti.

Un fenomeno che ha travolto anche la discografia, facendo di Battisti-Mogol la coppia Numero Uno, il nome poi della loro fucina creativa, l’etichetta e casa discografica da loro co-fondata nel 1969. Un fuoco di fila di successi che trovano la consacrazione da Balla Linda (portata al Cantagiro del 68) a Un’avventura (cantata a Sanremo l’anno dopo) fino a Mi ritorni in mente, Fiori rosa fiori di pesco, Acqua azzurra acqua chiara, con il ricordo di Renzo Arbore che ne lanciò il 45 giri in radio al posto del lato A Dieci ragazze decretandone il clamoroso successo.

«Battisti non aveva mai fatto alcun tipo di promozione dei suoi dischi – racconta la regista spagnola Maite Carpio, che ha realizzato, tra gli altri, documentari su Fellini, Visconti e l’arcivescovo martire Romero - ma è entrato e rimasto nel cuore non solo di chi lo ha ascoltato quando era in attività ma anche delle nuove generazioni. Soprattutto e, purtroppo, soltanto la prima parte, quella insieme a Mogol». Il doc si apre e si chiude così con interpretazioni di suoi brani di chi Battisti non l’ha realmente conosciuto “in contemporanea”, ma lo ha ereditato, da Noemi a Giovanni Caccamo, da Gianluca Grignani a Giusy Ferreri.

Alle loro reinterpretazioni si aggiungono invece nell’excursus proposto le testimonianze, tra gli altri, di Roby Matano (primo partner artistico di Battisti nel complesso dei Campioni), di Pietruccio Montalbetti dei Dik Dik, di Mario Lavezzi, del discografico Franco Daldello, di Mara Maionchi (per prima approdata all’ufficio stampa della Numero Uno), Caterina Caselli, Adriana Pappalardo, Franco Mussida e Tony Cicco della Formula 3 in hit parade con la battistiana Questo folle sentimento.

Ma è naturalmente quella di Mogol la testimonianza che fa da filo rosso al racconto di una carriera che è stata il frutto di una delle più straordinarie formule di alchimia umana e artistica. E che, proprio come tale, ha avuto un naturale affievolimento. Ne è riprova come Battisti abbia offerto di sé due facce così diverse della propria arte, il periodo con Mogol e quello successivo con Pasquale Panella. A testimonianza proprio di come il sodalizio con Mogol sia stato un caso unico e irripetibile di sublimazione creativa. «Quando due anime così uniche si incontrano – dice Maite Carpio - danno vita a una terza persona, un soggetto artistico che è l’essenza di un’intesa che esprime una propria anima, una nuova entità unica. Per questo la loro comprensione va persino oltre l’amicizia, è un incontro creativo che si nutre di profonda stima reciproca».

La testimonianza di Mogol, l’87enne gigante della canzone popolare italiana, presidente della Siae, si affianca così alla cronistoria dell’inarrestabile ascesa del fenomeno Battisti, anzi Battisti-Mogol. Tra aneddoti e nostalgiche rimembranze intrise di autentico affetto verso quel gran genio del suo amico, un famoso episodio è la memorabile cavalcata dell’estate 1970 dalla Lombardia di Mogol al Lazio di Battisti. Un’idea del “paroliere” (definizione mai amata da Mogol) a cui l’amico rispose “sì, viaggiare” imparando in poco tempo ad andare a cavallo. «Lucio imparava tutto in fretta, aveva una mente matematica, a differenza della mia. Ci integravamo anche sotto questo aspetto».

Mogol spiega quindi i testi di alcuni dei loro grandi brani da Per una lira (la loro prima canzone incisa, riproposta in uno spezzone di Speciale per voi condotto da Arbore) a Un’avventura a La canzone del sole. «Mogol in quei testi raccontava propri vissuti, ma anche la loro storia, i vari momenti di evoluzione del loro rapporto, la vita artistica ed emotiva della coppia Battisti-Mogol – spiega la regista -. Quelle canzoni sono in una certa misura uno specchio del loro sodalizio. Certo, era spesso presente la figura femminile, però parlavano anche di loro. Battisti e Mogol non si percepiscono da soli. Nessuno dei due avrebbe potuto raggiungere certe vette senza l’altro. E ognuno ha rispettato il talento dell’altro. Solo insieme sono andati oltre. E questo è, in fondo, l’essenza dell’amicizia e ancor più dell’amore. La loro amicizia è stata un amore artistico, nel senso più alto del termine. Un’unione di anime attraverso il dono della musica».

E alle loro anime si sono unite quelle di generazioni di ascoltatori. Giovani che sono diventati adulti gioendo, piangendo, emozionandosi, amandosi con le loro canzoni. Battisti non aveva il dono innato e istintivo della parola. Sentiva sì profondamente, ma il suo canale espressivo era il linguaggio musicale, con la sua dimensione matematica, ritmica e metrica. Aveva bisogno che qualcuno sapesse dare anche immagine “poetica” alle sue geniali intuizioni melodiche e armoniche. Un eloquente e commovente passaggio del documentario è laddove si evoca il momento della registrazione di Emozioni. A un certo punto Mogol si accorge che Lucio non la sta eseguendo come sarebbe davvero nelle sue corde. Come se in quel momento non fosse pienamente ispirato e sintonizzato. Allora gli si avvicina e gli sussurra qualcosa, “cantala così”. La successiva registrazione è perfetta. Anche in quell’occasione Mogol era riuscito a dare parole ai suoi sentimenti. Gli aveva saputo accendere la fiammella giusta. Mogol, l’ostetrico emotivo di Battisti.

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