giovedì 21 gennaio 2010
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«Questo è un paese o­scuro a se stesso, nel quale tutti soffrono più malesseri che dolori, senza capirne con chiarez­za il perché», scrive Guido Piovene nel Viaggio in Italia. Il “dolore” attuale, è sicuramente quel razzismo avvelenato e diffu­so nella società, che poi prende le sembianze di “malessere” quando entra in uno stadio di calcio. Che razza di gioco è questo, si è chiesto un gruppo di scrittori e giornalisti nel 1° numero della rivista lo “Sport Perlustrato” (Sedizioni) e leggen­dola attentamente si comprende che il razzismo nel calcio italiano ha purtroppo radici profonda­mente insane e assai radicate nel tempo. «La prima volta che nel nostro campionato si è parlato di chiude­re gli stadi per “cori razzisti” è sta­to nel novembre del ’92 e l’appel- lo arrivò dal milanista Ruud Gullit. Sono passati quasi vent’anni e mi sembra che siamo ancora al pun­to di partenza...». È il commento del sociologo Mauro Valeri, re­sponsabile dell’Osservatorio sul razzismo e l’antirazzismo nel cal­cio. Un fenomeno, dati aggiornati alla mano, assolutamente da non ridurre semplicisticamente al solo “caso Balotelli”. «Anche se c’è da sottolineare che in questa stagione Mario Balotelli è stato “insultato” già in ben 9 partite, di cui 5 quan­do neanche giocava l’Inter - conti­nua Valeri - . Perché? Perché è for­te, segna ed è un “nero italiano” e glie lo rinfacciano, apostrofando­lo violentemente, in quasi tutti gli stadi. I benpensanti si ricordino nei loro commenti su Balotelli che è anche l’unico calciatore nero che ha avuto il coraggio di denuncia­re il razzismo negli stadi, di criti­care i suoi stessi tifosi e di prende­re le difese di un altro collega di co­lore come Luciano del Chievo». Osservazioni puntuali e precise, come le analisi statistiche del­l’Osservatorio di Valeri che dalla stagione 2000-2001 ha censito 500 episodi di razzismo nei nostri stadi (150 in serie A). Protagoniste in nega­tivo 93 tifoserie, 4 le partite che si sono disputate a porte chiuse e 3 i campi squalifi­cati in se­guito a quegli e­pisodi, dalla Serie A alla Lega Pro ex C1. Complessivamente sono state comminate ammende alle società per oltre 2.500.000 euro, 1 milione nella sola serie A. «Che fine hanno fatto questi soldi?», si chiede Vale­ri, molto pessimista anche riguar­do agli imminenti sviluppi norma­tivi. «La sensazione è che il pro­blema del razzismo stia diventan­do un “pallone bollente” che Figc e Governo al­l’occorrenza si rimbalzano senza prendere quei provvedimenti che riguardano tutto il nostro sistema calcio, direttamente coinvolto». In­fatti il razzismo non fa distinzioni di categoria. Nella stagione in cor­so l’Osservatorio ha censito 28 e­pisodi - 13 in serie A - , di cui 19 pu­niti dal giudice sportivo, con 182 mila euro di multa alle società. Ma­no pesante contro l’unico caso uf­ficiale di “razzismo in campo”: De Lorenzo del Noicattaro (Seconda divisione, ex C2) per gli insulti al “nero” Doudou della Cisco Roma, si è beccato 3 giornate di squalifi­ca. Pesanti anche le sanzioni nei confronti della Juventus che fin qui per i cori razzisti dei suoi tifosi è stata punita in 6 circostanze e nel computo dei 160mila euro delle ammende rimediate, 75 mila circa quelle pagate “per cori e striscioni razzisti”. «Eppure - puntualizza Va­leri - la Juventus è la società che più si sta muovendo sul fronte dell’an­tirazzismo (ha anche lanciato il vi­deo pro Unicef Un calcio al razzi­smo con Amauri, Del Piero e Sis­soko) e questo anche grazie alla sensibilità del suo presidente Jean-Claude Blanc, che guar­da caso è un francese... Le so­cietà possono fare molto, ma serve anche la collaborazione dei tifosi e al momento un da­to allarmante è l’assenza completa di forme di “disso­ciazione attiva”. Cioè, i con­trofischi della maggioranza civile e sportiva e il pubblico dissenso verso le frange e­streme che insultano il gio­catore nero. Frange politica­mente pilotate che ultima­mente fanno sentire spesso anche cori antisemiti e di “di­scriminazione territoriale”, tradotto: antimeridionalisti». L’Osservatorio dovrà occu­parsi anche di questi. Anche nel calcio stiamo tornando paurosamente indietro, nel tempo.
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