sabato 6 maggio 2023
Il demografo Volpi analizza dal punto di vista quantitativo la vita quotidiana ai tempi di Cristo. Com’era la folla che lo seguiva e perché Gerusalemme, ossia la città, lo respinse?
Veduta aerea dell'area archeologica di Cafarnao

Veduta aerea dell'area archeologica di Cafarnao - Israel Photo Gallery / Flickr / CC BY-ND 2.0

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Oggi un trentenne è poco più che un ragazzo, che spesso vive ancora con i genitori. Duemila anni fa non era così: un uomo di quell’età era un adulto, accasato e padre di numerosi figli anche grandicelli. È una considerazione importante persino per capire Gesù, che intorno ai trent’anni iniziò a predicare e a trentatré morì sulla croce (anche se poi sarebbe risorto). A essere sinceri nemmeno Gesù abbandonò la famiglia molto presto. Si dice a trentadue anni. Ma di certo quando lo fece era un uomo più che maturo, vista anche l’età media dell’epoca. In ogni caso, nel suo peregrinare non si allontanò molto da Nazareth, considerando le dimensioni territoriali della Galilea dove si svolse la maggior parte della sua predicazione pubblica.

In questo senso, un interessante scenario demografico ce lo fornisce Roberto Volpi con il volume In quel tempo (Solferino, pagine 256, euro 17,00) che, come recita il sottotitolo, racconta una storia quotidiana delle origini del cristianesimo Da Gesù a Paolo attraverso i numeri del Nuovo Testamento.

Volpi, che di professione fa lo statistico ed è autore di importanti studi sulla popolazione italiana e in particolare sulla crisi delle nascite, non disdegna di avventurarsi in ambiti dove la scienza incontra e si confronta con la fede. Lo ha fatto poco tempo fa con il volume Dio nell’incerto e adesso lo fa con questo lavoro «di tipo quantitativo» che, come scrive il cardinale Camillo Ruini nella prefazione, «aiuta a inquadrare la figura e l’opera di Gesù». Per cui non dobbiamo farci ingannare dall’iconografia occidentale e «dobbiamo proiettare e immaginare — spiega Volpi — un uomo di 32-33 anni nella Galilea della sua predicazione 2.000 anni fa: al più 120.000 abitanti di un’età media di 25-26 anni, dei quali almeno 40.000 tra bambini e ragazzi e non più di 5.000-6.000 persone di 60 anni». Come si vede Volpi non rinuncia ai suoi amati numeri, anche graficamente. Ma in questo caso lo fa per dimostrare, numeri alla mano appunto, che «Gesù aveva l’età giusta per essere preso e tenuto in grande considerazione, per essere visto con serietà, ascoltato in raccoglimento, seguito con devozione».

Nel libro c’è ovviamente molto di più: c’è la descrizione di come fosse composta numericamente e socialmente la folla di cui parlano i Vangeli; ci sono analisi altimetriche dei monti di cui sempre parlano i Vangeli e che in realtà sono piccoli rilievi; c’è la vita quotidiana di Gesù e degli apostoli durante la predicazione (dove mangiavano, dove dormivano, quanti chilometri al giorno percorrevano…). Ma una segnalazione a parte va fatta per i capitoli dedicati a Gerusalemme in cui Volpi spiega come la città sia rimasta in qualche modo estranea a Gesù, «se si esclude il tempio e l’eco anticipata della separazione che si produrrà tra il consolidato ebraismo della città e il nascente cristianesimo, che per trovare la sua strada dovrà abbandonare Gerusalemme, andare lontano».

E qui entra in gioco san Paolo, che l’autore, chiedendo che gli si passi il termine, definisce «l’inventore del cristianesimo» in quanto è lui che universalizza il messaggio di Gesù in senso territoriale e geografico. Insomma, questo di Volpi non è un libro religioso, esegetico o di teologia, ma inserisce Gesù e la sua predicazione in un contesto che non trascura la dimensione quantitativa e perfino demografica dei suoi tempi per spiegare cose che normalmente non vengono prese in considerazione pur essendo fondamentali per capire la figura del Cristo e l’importanza, enorme, straordinaria, che ha rivestito nella storia dell’umanità.

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