venerdì 20 novembre 2020
Il 23 novembre 1980 un terremoto faceva tremila vittime in Irpinia. Tragedia non rara nel nostro Paese: il sismologo Galadini ha raccolto centinaia di citazioni di narrativa, poesia, storia, filosofia
George Balthasar Probst, “Le terrible tremblement de terre à Messine” (1785) raffigurante il devastante terremoto che colpì Messina nel febbraio del 1783

George Balthasar Probst, “Le terrible tremblement de terre à Messine” (1785) raffigurante il devastante terremoto che colpì Messina nel febbraio del 1783

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La prima reazione degli esseri umani di fronte a un terremoto è la stessa da millenni; si accentua semmai oggi, laddove fenomeni di urbanizzazione di massa hanno portato una maggiore concentrazione di edifici, perché lì si verificano più lutti e più distruzioni. Essa consiste nello sbigottimento misto ad angoscia. Il mostro è tornato a sollevarsi dalle viscere della terra. Il silenzioso scrollatore, distruttore, uccisore si è fatto risentire, e come sempre in modo inatteso. Rari, incerti sono infatti i segnali con cui il mostro si annuncia, tali da indurre gli esseri umani ad abbandonare in fretta gli edifici; anche oggi che la immediata divulgazione dei primi sintomi da parte dei media – quando possibile – e la disponibilità di automobili consentirebbero un rapido distanziamento dall’abitato, guadagnando più sicure aree libere da costruzioni; se n’è avuta conferma nei terremoti dell’Aquila nel 2009 e dell’Emilia Romagna nel 2012; se n’è avuta comprova nel terremoto che nei giorni scorsi ha avuto epicentro nel mar Egeo tra Grecia e Turchia, colpendo soprattutto la città turca di Smirne, con distruzione di molti edifici anche moderni e decine di vittime.

Si tratta di un evento naturale, ma la scienza che studia i comportamenti umani di fronte alle catastrofi si chiama teratologia, da un etimo greco, quello di “ teraton”, che significa appunto “mostro”. Con esso si è preferito affrancarsi da termini più scientifici od oggettivi per rovesciarsi direttamente nel cuore dell’uomo e trattare di come esso è lì avvertito, quasi come un malefico nemico dotato di vita propria. Né, in tale rovesciamento nel cuore, appare casuale che per secoli, nei documenti antichi la parola “terremoto” sia stata deformata in “ tremuoto”, nella – inconscia, sapientissima – contaminazione di assonanze, tra significato e significante, che la mente umana produce, quasi a dar conto del tremore degli essersi umani, oltre che dello scuotersi della terra.

Ci conduce su queste dimensioni anche psicologiche uno dei maggiori tecnici della materia, Fabrizio Galadini, dirigente di ricerca dell’Istituto nazionale di Geofisica e vulcanologia, nonché docente di Geologia per il rischio sismico all’Università di Roma Tre, specializzato in ricerche geologiche, di geoarcheologia e di sismologia storica sulla natura dei territori. Lo scienziato ha di recente pubblicato un libro intitolato Tracce ondulanti di terremoto, Rappresentazioni letterarie dei territori sismici d’Italia (Kirke, pagine 484, euro 24,00) attraverso cui ha effettuato un’operazione particolarissima: filtrare tutti i terremoti italiani attraverso ogni contributo al riguardo prodotto da narratori e poeti, saggisti e storici, filosofi e viaggiatori. Ciò solleva subito la domanda di cosa abbia spinto un sismologo a usare la letteratura per trattarne.

E sarebbe sintesi un po’ riduttiva rispondere che ha inteso riportare in un volume ogni citazione letteraria in materia, certo da lui vissuta con particolare coinvolgimento emotivo. Non tutto è infatti ascrivibile a quest’ultimo, o al voler ripercorrere pagine amate. Sembra esserci una matrice più profonda: la convinzione che l’osservatorio privilegiato per la messa a fuoco della condizione umana di fronte al terremoto sia quella degli artisti della parola, come se possedessero loro gli strumenti più adatti a indagarla.

Che operazione ha fatto dunque Galadini? Ha riportato, commentandole, centinaia e centinaia di citazioni di autori appartenenti alla narrativa, alla poesia, alla storia, alla saggistica, alla filosofia, alla diaristica di viaggio, sotto le partizioni di sei capitoli, i quali, partendo dalla “letteratura e dinamica geologica” e dalle testimonianze “sincrone” di chi ha descritto i terremoti per averli direttamente vissuti, si estendono a trattare di “danni, rovine e ruderi”; per poi passare alle prime misure adottate per fronteggiare l’accaduto con “baracche e costruzioni emergenziali”, fino alle “ricostruzioni definitive” (dove “definitive” va letta come auspicio o esorcismo, nella consapevolezza che i terremoti si ripetono).

Ed ecco allora i nomi storici di Buccio di Ranallo e di Giovanni Quatrario per il grande sisma in Italia centrale e in specie in Abruzzo (regione che “cova i terremoti”) del 1349; dell’Antinori, di D’Annunzio, della Bonanni, di Silone e di vari contemporanei per i secoli successivi. Ecco, per tutto il devastato Centro-Sud – cui appartengono i più gravi terremoti della storia, cioè quello del 1908 di Messina e Reggio Calabria e quello del 1915 della Marsica, rispettivamente con oltre 100.000 e oltre 30.000 vittime, volendo tacere dei “minori” del 1980, del 2009 e di altri – i nomi di Alianello, Alvaro, Croce, Pirandello, Strati, Brancati, Bufalino, Collura, Comisso, Consolo, Tomasi di Lampedusa, Piovene, Placanica, Pomilio, Ginzburg, Prisco, Repaci, Rea, Sciascia, Scotellaro. Ecco poi gli autori “nordici” Gadda, Calvino, Levi, Chiara; passando per poeti come Pascoli, Piersanti, Zanzotto, de Signoribus; e senza dimenticare i viaggiatori stranieri del passato nell’Italia terremotata, da Goethe a Lear, a Swinburne, a Mac Donnell, a Keppel Craven, a Stolberg, a Douglas, a de Gourbillon, a Vom Rath a Wey. E tanti altri, soprattutto contemporanei, qui omessi.

Cos’è dunque Tracce ondulanti di terremoto? È un’antologia della sofferenza umana di fronte a questo evento, assemblata attraverso le parole di chi ne ha scritto. È un tributo a ciò che ha attraversato, condizionato e scandito la storia d’Italia, che è uno dei Paesi più sismici del mondo. Ma soprattutto, per la retrazione che l’autore ha praticato dalla freddezza e dal tecnicismo della sua professione, è un’asciutta e appassionata trenodia dei moti del cuore davanti a quelli della terra.

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