martedì 20 febbraio 2024
Il poeta era sospettato di avere aderito al comunismo. Un saggio ben documentato sfata un'opinione che mise l'autore di “Il profeta” sotto le attenzioni della polizia federale americana
Kalhil Gibran

Kalhil Gibran - Archivio Avvenire

COMMENTA E CONDIVIDI

«Tremble informa da fonti confidenziali che Kahlil Gibran, uno straniero siriano con uno studio d’arte al terzo piano di West 10th Street, a Manhattan, è in possesso di una consistente quantità di materiali di propaganda pacifista e bolscevica. Tremble suggerisce che una perquisizione dell’alloggio del soggetto potrebbe rivelarsi utile». Con queste parole, il 12 agosto 1918, Edgar B. Speer, un agente speciale del Boi (Bureau of investigation) – nucleo originario dell’ Fbi (Federal bureau of investigation) – riportava ai suoi colleghi di New York questa segnalazione di un informatore. Anche il celebre poeta e pittore libanese naturalizzato statunitense non sfuggì dunque alla caccia alle streghe scatenatasi negli Usa durante la cosiddetta “Prima paura rossa” seguita allo scoppio della Rivoluzione d’Ottobre del 1917 in Russia e all’entrata degli Usa nella Grande Guerra, una campagna poi accentuatasi tra il ‘19 e il ‘20 per soffocare ogni dissenso che prendeva di mira socialisti, comunisti, pacifisti, e - egualmente ritenuti pericolosi - gli immigrati. Compresi i mediorientali provenienti dall’allora Grande Siria ottomana (comprendente anche il Monte Libano), identificati come «turchi» dagli americani in quanto sudditi della Sublime Porta e perciò guardati con sospetto. Anche quelli come Gibran, che, arrivato negli Usa dodicenne nel 1895, era tornato a risiedervi dopo non pochi viaggi tra il Libano e l’Europa, stabilendosi definitivamente a New York nel 1911, lì componendo i suoi scritti e dipingendo.

Se in quel periodo l’opinione pubblica americana non faceva che alimentare sentimenti xenofobi, leggi quali l’Espionage Act (1917) e il Sedition Act (1918) arrivavano a condannare chiunque criticasse il governo e i suoi sforzi bellici. Dobbiamo ora nuove informazioni che arricchiscono la conoscenza della biografia di Gibran - nonché delle sue idee politiche e sul primo conflitto mondiale - al denso saggio che Francesco Medici, apprezzato studioso dell’autore, pubblica sul nuovo numero del bimestrale dell’Istituto euroarabo di Mazara del Vallo, “Dialoghi Mediterranei”, con il titolo Sospetto bolscevico, un testo costruito grazie al fascicolo dell’antesignano dell’Fbi su Gibran rintracciato presso la National archives and records administration. Prima di dar conto degli esiti della perquisizione. Medici, interrogandosi sulla fondatezza dei sospetti sullo scrittore e pittore, ne passa in rassegna le conoscenze con personalità legate agli ambienti di sinistra dopo il rientro a New York (fra queste Charles Edward Russell membro del Socialist party of America) o certe sue letture (come il libro di William Walling The larger aspects of socialism). Quanto però non basta a fare di Gibran un socialista o un comunista, pur avendo più volte dichiarato di guardare a quell’ideologia con rispetto, come fece pure per gli eventi del 1917 in Russia.

Ma se non bolscevico Gibran era un convinto pacifista? E qui la risposta non è scontata, visto il suo coinvolgimento nella causa indipendentista siro-libanese e a servizio del “Comitato di Volontari per la Siria e il Monte Libano”. Medici sottolinea che Gibran era consapevole del contrasto fra tale ruolo e quello da lui ricoperto nella redazione di “The Seven Arts”, mensile dai toni anti-interventisti. Come pure sapeva che la sua collaborazione con un pacifista come il fondatore della rivista, James Oppenheim, suscitava il disappunto dei colleghi siriani del Comitato. Tuttavia continuò ad offrire sostegno agli uni e agli altri. Solo il 27 luglio 1917, provò a giustificarsi con l’amica Mary Haskell a proposito delle sue ambigue posizioni: «Sai quanto io stimi Oppenheim, anche se la penso in modo opposto rispetto a lui riguardo al da farsi in questa guerra […]. Sono contro la guerra, ma proprio per questo motivo voglio farne uso a mio vantaggio. È la mia arma. Io sono per la giustizia – e quindi voglio trarre vantaggio da questa grande ingiustizia».Il dilemma circa la collaborazione con “The Seven Arts” si risolse subito: la rivista cessò le pubblicazioni nell’ottobre ’17 per difficoltà economiche. Non è tutto. Medici richiama pure confidenze di Gibran alla Haskell: le disse di voler partire per il fronte, ma non lo fece. Inoltre, come nazionalista arabo e sostenitore della causa armena, era inviso anche agli ottomani. La vicenda da lui riportata riguardo un attentato subito a Parigi per mano turca, nonché le lettere con tanto di minacce di morte ricevute a New York ne sono prova. Anche di ciò rende conto Medici pur evidenziando che per Gibran i mesi tra l’autunno ‘17 e l’estate ‘18 furono comunque fruttuosi. Quaranta sue opere furono esposte presso le Knoedler Galleries di New York. Inaugurò la sua collaborazione con la “Poetry society of America”. Ultimò vari scritti: in inglese The Madman (Il folle); in arabo al-Mawakib (Le processioni); e alcuni capitoli di The Prophet (Il Profeta).

E la perquisizione richiesta? Avvenne il 15 agosto ‘18, in sua assenza. Medici pubblica i rapporti integrali stilati dai due agenti intervenuti. Nel primo si legge:«Non abbiamo rinvenuto nell’appartamento neppure una lettera, un opuscolo, un fascicolo, un volume o altro materiale che possa suggerire una qualche implicazione da parte del soggetto con i bolscevichi e neppure una simpatia per il loro movimento». Il secondo conferma: «Non è stato rinvenuto nulla che possa indicare una qualche attività eversiva del soggetto oppure una sua vicinanza al movimento bolscevico». Insomma: un caso chiuso.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI