giovedì 29 settembre 2011
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Si è aperto in questi giorni a Tokyo il ventiquattresimo congresso mondiale dell’architettura indetta dall’Unione Mondiale degli Architetti (UIA) fondata nel 1948 in Svizzera come piattaforma internazionale per elaborare, discutere analizzare le problematiche connesse all’architettura e al suo rapporto con la società. Nel 2008 un’edizione dedicata alla “Trasmissione dell’Architettura” ha avuto come sede Torino. Quest’anno gli avvenimenti luttuosi del terremoto e dello tsunami "nucleare" avevano fatto temere che l’intera kermesse venisse annullata. Ma come ci tengono a dire gli organizzatori, invece è proprio a seguito della grande catastrofe che ha colpito l’area di Fukushima e il nord del Giappone che è importante che il congresso mondiale abbia luogo. Uno degli speaker principali del Congresso è Tadao Ando, architetto settantenne, premio Pritzker 1995, conosciuto in Italia per avere progettato Fabrica, la sede di Benetton, e il museo Pinault alla punta della Dogana a Venezia. Lo stesso Tadao Ando è stato posto dal governo giapponese a capo della ricostruzione delle zone colpite. E gli altri importanti nomi, come Kazujo Sejima (ha diretto l’ultima Biennale di Architettura di Venezia) e Ryue Nishizawa, noti come Sanaa, (Pritzker Prize 2010) saranno chiamati a trattare temi più consoni alla situazione come "architettura e ambiente". Sulla stessa linea d’onda gli altri ospit, dall’originale architetto tedesco Christoph Ingenhoven, noto per coniugare sostenibilità ambientale e audacia formale, a Kengo Kuma, architetto giapponese che più rappresenta il ricorso a materiali riciclabili e sostenibili, per passare poi a Jigmi Yoezer Thinley, primo ministro del Buthan, un paese che ha scelto la via ambientale come conseguenza dell’adesione al buddhismo. A coronare la kermesse la coppia Christo e Jeanne-Claude che presenterà qui il lavoro di land art dell’Arkansas River e quelli di un’intera carriera. La settimana però prevede anche dibattiti, mostre, e incontri informali in varie sedi della città. È previsto un seminario sul ruolo dell’architetto nel rapporto con le ong e la cooperazione internazionale. In realtà la situazione della ricostruzione post tsunami nucleare è lungi dall’essere risolta. Un milione di persone vive ancora in una condizione precaria e soprattutto non sono chiari i tempi di una ricostruzione che dovrebbe prevedere una bonifica che potrà essere solo successiva alla definitiva chiusura del leak, la fessura sotto la centrale di Fukushima.Ma è vero che il popolo giapponese, e soprattutto il forte e rustico popolo del Nord, ha una capacità straordinaria nell’organizzarsi e nel tessere pazientemente di nuovo le reti di solidarietà. Un personaggio chiave per capire cosa sta accadendo qui è Cameron Sinclair, che dirige Architecture for Humanity, il più grande network mondiale di interventi in casi di emergenza (una specie di Medici senza Frontiere nel campo dell’architettura). Sinclair è stato chiamato dalle comunità di Sendai e di altri centri del Nord per dare una mano alla rinascita della zona e piccole e grandi iniziative stanno prendendo piede, tra la ripresa di attività produttive (alcuni pescatori, abili nel far reti hanno aperto una cooperativa che fabbrica amache) e la costruzione di abitazioni provvisorie e permanenti (anche se molti abitanti non vogliono ricostruire per ora). Il grande problema è che c’è una grossa carenza di fondi e che la macchina governativa diretta da Tadao Ando, invitata da Architecture for Humanity a utilizzare il Congresso Mondiale per raccogliere denaro per la ricostruzione si è rifiutata di farlo. Dice che ne va dell’onore del Congresso e degli ordini professionali del paese, l’idea di chiedere pubblico aiuto va contro la mentalità tradizionale. In più sembra che tutta la ricostruzione sia in mano alla "vecchia guardia", architetti oltre i settanta e che lasci ben poco alle nuove leve, le quali sentono l’urgenza di aprire pratiche partecipative e comunitarie diverse da quelle delle archistar.Il pericolo è che il Congresso della UIA si trasformi in una kermesse di parole e lasci poco spazio alla concretezza del rapporto tra popolazioni e ricostruzione. L’impressione è che prevalga ancora un’ottica da architettura glamour e che la crisi profonda della professione architettonica non venga abbastanza messa in risalto, con le sue conseguenze di aperture a pratiche sociali e comunitarie. Staremo a vedere.
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