venerdì 5 marzo 2021
La storica rassegna dedica la sua nuova edizione alle ricerche trasversali di identità, di genere e di rapporto con l'ambiente ma rischia l'effetto calderone e non sempre convince
Cinzia Ruggeri, “Stivali Italia”, 1986

Cinzia Ruggeri, “Stivali Italia”, 1986 - .

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La Quadriennale di Roma, una delle più antiche manifestazioni dedicate alle arti visive in Italia, presenta la sua nuova edizione (fino a primavera, data variabile), frutto di un lungo percorso di ricerca e di un’impostazione rinnovata che non nasce dalle selezioni di una commissione di curatori, come accadeva in passato, ma dal progetto curatoriale di Sarah Cosulich e di Stefano Collicelli Cagol. In questa occasione Cosulich e Collicelli Cagol hanno potuto lavorare per tre anni, seguendo quella che è ormai una prassi diffusa a livello internazionale, attraverso un segmentato percorso di mappatura delle arti visive italiane avviato nel biennio 2018-2019, in una preparazione che ha previsto anche dei workshop itineranti per giovani artisti e curatori e il fondo Q-International, nato per potenziare la presenza dell’arte italiana nelle istituzioni all’estero.

La mostra, che si è inaugurata a ottobre al Palazzo delle Esposizioni, per poi essere chiusa quasi subito (a causa delle misure contro la pandemia) e finalmente riaperta, è il risultato di questo itinerario e si sviluppa in un percorso espositivo complesso e articolato (progettato da Alessandro Bava) nel quale si possono ammirare più di trecento opere realizzate da quarantatré artiste, artisti, coppie e collettivi che hanno l’intento di documentare la vitalità delle ricerche creative nel nostro Paese. Il proponimento della mostra è quello di tracciare una possibile linea 'eccentrica' dell’arte italiana dagli Sessanta a oggi, unendo artiste e artisti di generazioni differenti, da personalità storiche individuate come pionieristiche, a quelle dei cosiddetti artisti mid-career (con alle spalle già diversi anni di lavoro), fino agli artisti più giovani. La mostra (catalogo Treccani) si sviluppa così per creare un incontro tra visioni, generazioni, tendenze, all’insegna dell’apertura e dello sconfinamento tra forme espressive come la danza, la musica, il teatro, il cinema, la moda, l’architettura e il design, un’idea che, in fondo, si riallaccia alle origini delle avanguardie storiche quando il Futurismo si serviva di contaminazioni simili per praticare l’ingresso 'totale' dell’arte nello spazio della vita.

Il progetto, chiamato non a caso Fuori, vuole seguire quelli che, negli ultimi anni, si sono delineati forse come i principali filoni di ricerca internazionali: dalla visione femminile (femminista, ma non solo) alle identità (e alle cosiddette “fluidità”) dei generi, dalle riflessioni postcoloniali alle emersioni dell’eros, dalle trasformazioni dello spazio e dei contenitori delle arti fino alle dialettiche tra arte e potere. C’è tanto pensiero mainstream in questa Quadriennale, e non vuol dire che sia per forza un bene. Lo stesso Palazzo delle Esposizioni è diventato dunque un oggetto di ricerca storica e cerca lo sconfinamento contemporanea nelle sue diverse declinazioni dagli anni del fascismo (e delle prime Quadriennali) a oggi.

Nei molti e complessi fili di Arianna che si possono ricomporre durante la visita si incontrano dunque le fusioni (anche dissacranti) tra arte e design delle opere di Cinzia Ruggeri, Nanda Vigo, Raffaella Naldi Rossano, Alessandro Agudio, Caterina De Nicola, Lorenza Longhi, Valerio Nicolai, Petrit Halilaj & Alvaro Urbano; le progettualità analitiche di Irma Blank e di Micol Assaël; l’occhio spiazzante delle foto e dei video di Lisetta Carmi, Monica Bonvicini, Luisa Lambri, Diego Marcon; le psichedelie metafisiche della pittura di Salvo e delle (non) sculture luminose di Davide Stucchi; la mitologia contemporanea di Giuseppe Gabellone e di Zapruder; le scelte antigraziose e metamorfiche di Alessandro Pessoli, Benni Bosetto, Chiara Camoni, Isabella Costabile, Cuoghi Corsello, Guglielmo Castelli, Francesco Gennari, Diego Gualandris, Amedeo Polazzo. Le riflessioni, anche politiche, sull’eros, la corporeità e la sessualità ricorrono invece nelle opere di Giulia Crispiani, Norma Jeane, Lydia Silvestri, TOMBOYS DON’T CRY, Maurizio Vetrugno.

Di particolare interesse sono anche i progetti dedicati all’architettura degli spazi pubblici di Bruna Esposito, della decolonizzazione di DAAR e alla storia italiana attraverso il cinema di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, mentre risplendono le azioni di protagonisti dell’intreccio tra scena, performance e arti visive come Simone Forti, Cloti Ricciardi, Sylvano Bussotti, Romeo Castellucci e Giuseppe Chiari, in rapporto alle installazioni di Anna Franceschini, Tomaso De Luca, Michele Rizzo, che nel loro dialogo danno vita a quell’incontro serrato tra storia e presente che fonda il nucleo progettuale di questa Quadriennale.

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