venerdì 12 novembre 2021
Avati propone un romanzo picaresco e avventuroso, il suo viaggio sulle tracce del Poeta che sarà al centro del suo prossimo film
Pupi Avati sul set del suo film “Dante”

Pupi Avati sul set del suo film “Dante” - courtesy Solferino

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Proponiamo un estratto del nuovo romanzo di Pupi Avati L’alta fantasia. Il viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante, in questi giorni in uscita per Solferino (pagine 170, euro 16,50). Avati propone un romanzo picaresco e avventuroso, il suo viaggio sulle tracce del Poeta (in questo momento il regista sta lavorando al suo prossimo film, dedicato proprio a Dante), nel quale ci consegna l’opera di tre vite: l’incontro inaspettato attraverso i secoli tra un regista e scrittore e due maestri della cultura italiana, Dante e Boccaccio. Un racconto di avventure, uno sguardo partecipe e nuovo su Dante, la ricostruzione di un Medioevo vero, sporco, luminoso e umano. Il libro sarà presentato il 20 novembre a Roma, alle 18 presso Libreria Eli (viale Somalia, 50) con Maria Grazia Calandrone e Nadia Terranova, e il 21 a Frascati alle 18.30 presso Scuderie Aldobrandini con Paolo Di Paolo e Giulio Ferroni.


Dante, il viso contratto dalla tensione, correva verso le case dei Bardi nell’affrettarsi di uomini e donne vestiti a lutto. «Poi mi parve vedere a poco a poco turbar lo sole e apparir la stella, e pianger elli ed ella; / cader li augelli volando per l’âre, e la terra tremare; ed omo apparve scolorito e fioco, / dicendomi: “Che fai? Non sai novella? morta è la donna tua, ch’era sì bella”» ( Vita Nova, XXIII). Scomparvero all’interno dell’edificio salendo l’ampia scalinata. « Allor diceva Amor: “Più nol ti celo; vieni a veder nostra donna che giace” » ( Vita Nova, XXIII). Nella grande penombra della sala coniugale di Palazzo Bardi le sorelle di Beatrice si affaccendavano attorno al grande letto nuziale in un singulto di preci e di pianti. Avevano i volti e le mani fasciate da bende come a proteggersi da un contagio. Denudavano il cadavere di una giovane donna. Con stracci umidi lavavano quelle povere membra. Mentre una serva recava un grande panno un’altra portava il bambolotto nuziale. Il corpo nudo di Beatrice venticinquenne venne avvolto nel panno, come lo era Beatrice nel sogno di Dante. Da due carriole la neve conservata dall’inverno venne disposta tutt’intorno il cadavere. Il vasto ambiente si colmò di una folla strabocchevole di congiunti e amici nel denso fumo delle centinaia di ceri. Confu- so fra i tanti anche Dante, lo sguardo allucinato. Un velo nero nascondeva il volto della defunta che stringeva a sé il suo pupazzo di nozze. Dalle sorelle della morta vennero fatti avvicinare i bambini forse per una preghiera o per un ultimo saluto. Uno di loro, il più piccolo, incuriosito, tirò un lembo del velo scoprendo nello sgomento di tutti il magnifico viso di Beatrice segnato dal vaiolo. Ci fu chi fu svelto a occultarlo. Tuttavia le sue mani, che stringevano il Gesù Bambino, restarono scoperte. Candide mani che Dante, pur tenendosi appartato, fissava piangendo. «Tanto gentile e tanto onesta pare / la donna mia quand’ella altrui saluta / ch’ogne lingua deven tremando muta / e gli occhi no l’ardiscon di guardare» ( Vita Nova, XXVI). Su una parete laterale della piccola chiesa di Santa Margherita due uomini smurarono la lapide di uno dei loculi dei Portinari dove già riposava la giovane Ravegnana morta l’anno innanzi mentre il cadavere di sua sorella Beatrice, steso su una barella di fiori e di verzure, la stava raggiungendo, preceduto da uno scaccino che con robusti colpi di canna allontanava chi orinava sui muri. «Mostrasi sì piacente a chi la mira, che dà per li occhi una dolcezza al core, che ’ntender no la può chi no la prova: e par che de la sua labbia si mova un spirito soave pien d’amore, che va dicendo a l’anima: sospira» ( Vita Nova, XXVI). Nel far salire al feretro il basso gradino di accesso alla chiesa si ebbe un’incertezza dei portantini che produsse un sobbalzo. Il bambolotto nuziale scivolò lungo il corpo della defunta per andare a cadere al suolo. Nella calca di chi premeva per entrare in chiesa una delle sorelle di Beatrice lo raccolse. La caduta aveva prodotto l’infrangersi di un suo occhio di vetro. I due muratori, seduti nell’ombra dell’altare maggiore, si rifocillavano con una minestra di aglio, mentre nel denso fumo dell’incenso e dei ceri, accompagnato dalle invocazioni all’Altissimo, il corpo di Beatrice veniva tumulato. Dante, confuso fra la folla, vide con occhi febbricitanti quella lapide serrarsi con un tonfo cupo. Per sempre. Singhiozzava disperato infastidendo con i suoi singulti la compostezza dei presenti. Venne soccorso, portato all’esterno. «Sì che, se piacere sarà di colui a cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, io / spero di dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna » ( Vita Nova, XLII). Urtava e veniva urtato dai passanti senza avvedersene, ripetendo a se stesso, come per convincersi: «... di dire di lei quello che non fu mai detto di nessuna altra donna... che non fu mai detto di nessuna altra donna... ». Dante abbracciava ora un’edicola sacra stringendola a sé in un biascicare di parole deliranti. I suoi parenti, vedendolo precipitato in una così profonda disperazione si consultarono per cercare di aiutarlo. «La qual cosa veggendo i suoi parenti, acciò che del tutto non solamente de’ dolori il traessero, ma il recassero in allegrezza, ragionarono insieme di volergli dar moglie; acciò che, come la perduta donna gli era stata di tristizia cagione, così di letizia gli fosse la nuovamente acquistata... Diedero gli parenti e gli amici moglie a Dante, perché le lagrime cessassero di Beatrice». (Giovanni Boccaccio, Trattatello in laude di Dante). […] Dante, intirizzito, infelice, fissava la parete davanti a sé riandando a Beatrice risucchiata dal buio del profondo loculo. Con un tonfo che si riverberava nelle volte della chiesa di Santa Margherita la pesante lapide cancellava la giovane dal mondo. Per sempre. «Ita n’è Beatrice in l’alto cielo, nel reame ove li angeli hanno pace...». Nella grande penombra della stanza lo sguardo disperato di Dante.

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