martedì 20 luglio 2010
La sua Vandea lo mette in questi giorni sotto accusa, ma gli storici rivalutano l'eroe "negativo" dei "Tre moschettieri" di Alexandre Dumas.
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Un cardinale «politico» sotto processo. In forma di spettacolo. Nella «sua» Luçon, nella Vandea francese, dove fu vescovo circa 4 secoli fa, il cardinale Richelieu è protagonista di un processo che lo vede imputato sotto l’accusa di un procuratore generale e difeso da un apposito avvocato. E nel corso del dibattimento entrano in campo diversi personaggi del passato – come Carlo Magno, Napoleone Bonaparte, Luigi XI e il suo successore Luigi XIV – che dicono la loro sul porporato transalpino. È stato il Consiglio generale della Vandea a promuovere questo show la cui ultima replica si tiene proprio questa sera. Tecniche di suono e immagini ultramoderne, con ben 7 videoproiettori ad illuminare il duomo di Luçon, teatro naturale di questo dibattimento. Ma dunque questo cardinale ministro del re di Parigi va storiograficamente assolto o condannato? Che giudizio storico merita il suo operato, che lo rese uno dei grandi della politica e della diplomazia del XVII secolo? Come ha spiegato al quotidiano France Ouest l’attore e regista di «Richelieu l’ultime combat»,«lo spettacolo vuole porre la problematica: gli uomini di Stato sono dei grandi costruttori? Come si è costruita la loro leggenda? Li si può giudicare?». Del resto la vulgata comune associa al nome del cardinale Richelieu (al secolo Armand-Jean du Plessis, nato nel 1585 e morto nel 1642) l’immagine di perfido uomo di palazzo e di intrighi di corte tramandato dal romanziere Alexandre Dumas nel celebre I tre moschettieri. Ma forse Richelieu era qualcosa di più: rimasto orfano a 5 anni, nel 1614 fu nominato rappresentante del clero del Poitou agli Stati Generali. Fu consigliere della regina-madre Maria de’ Medici e nel 1622, grazie ai suoi appoggi, fu creato cardinale dopo essersi guadagnato la simpatia di papa Paolo V durante un soggiorno a Roma. Nel 1624 divenne infatti al contempo ministro, segretario di Stato alla Guerra e agli Affari esteri. Accrebbe così tanto il suo potere a corte sotto Luigi XIII (1601-1643) che riuscì ad esiliare la sua stessa benefattrice. Nel 1635 portò il regno transalpino nella Guerra dei Trent’anni, lasciando poi il suo potere all’erede designato, il cardinale Mazarino. «Fu una figura di grande primo ministro perché rappresenta un nuovo, notevole esempio di responsabile di un governo che si distacca dalla monarchia. Diventando così il modello di un’inedita forma di Stato». Questo è il primo giudizio sul porporato transalpino di Paolo Prodi, docente di storia moderna all’università di Bologna. «La sua peculiarità è appunto quella di un uomo di Stato che si distanzia dal re – prosegue Prodi –. Inoltre, è una personalità che arriva al potere non provenendo dall’interno della corte. Quindi rappresenta in qualche modo il frutto di una selezione professionale». Richelieu dunque come una sorta di politico «anti-casta» ante-litteram? «In un certo senso sì – risponde Prodi –. Inoltre egli in qualche modo incarna l’unione della Chiesa con lo Stato, ovvero quel movimento che fece della confessione cattolica il fondamento dello Stato francese. Va ricordato che l’ideologia confessionale ha rappresentato uno degli elementi di costruzione dello Stato moderno, fattore poi superato nel tempo. Dopo le guerre di religioni Richelieu, con l’assedio di La Rochelle nel 1628 ricostruì, in qualche modo, l’unità confessionale dello Stato francese emarginando la minoranza protestante». La Rochelle è ricordato come il momento in cui, mettendo sotto torchio una delle roccaforti protestanti, Richelieu ristabilì l’unità suprema del trono di Francia sotto egemonia cattolica. Sul piano che potremmo definire più morale, Prodi ricorda «tutte le accuse, vere o esagerate, di machiavellismo a lui rivolte per la sua spregiudicatezza politica. Non c’è nessun dubbio che egli fu un esempio sommo di quel che si chiama ragion di Stato». Su Richelieu «come grande uomo di Stato per la Francia» concorda anche padre Luigi Mezzadri, docente emerito di Storia della Chiesa moderna all’università Gregoriana di Roma. «Egli fu un ministro, parola che etimologicamente indica il servitore che porta a compimento il ruolo affidatogli. Ed egli fece proprio quanto gli fu chiesto. Richelieu operò in un momento difficile per la Francia: internamente essa usciva dal periodo delle guerre di religione, esternamente Parigi era assente da un certo tempo dallo scacchiere politico e diplomatico europeo. Per questo Richelieu cercò di indebolire il potere dei protestanti che con l’editto di Nantes (1598) avevano acquisito il diritto ad alcune roccaforti e con l’assedio di La Rochelle, una di queste roccaforti, tolse il potere militare alla minoranza protestante». E all’esterno? «Ha riportato in auge il ruolo della Francia. Certo, è stato rimproverato dagli storici spagnoli perché ha indebolito la ripresa cattolica: infatti, si era alleato con gli svedesi contro Madrid e l’Impero. Dobbiamo evidenziare che prima di lui la Francia era uno Stato feudale, dove il potere della nobiltà era fortissimo e le grandi famiglie si erano nascoste dietro la scusa del protestantesimo per allargare il loro potere. Invece egli ha scoperto il loro gioco e ne ha abbattuto l’influenza». Ma Mezzadri rievoca anche un tratto poco conosciuto del ministro Richelieu: «Era in perfetta sintonia con San Vincenzo de’ Paoli sul fatto che la fede cattolica non andava imposta con la forza ma doveva essere frutto di convinzione personale. Per questo motivo promosse molto le missioni popolari nella sua diocesi, dove fu un vescovo zelante, affinchè il cattolicesimo venisse accolto liberamente». Epperò il docente della Gregoriana sottolinea che il nodo resta capire «se un uomo di Chiesa poteva governare anche con il potere della spada, che prevede anche la possibilità di uccidere. Certo è che a quel tempo non vi era un’altra classe dirigente preparata allo stesso livello». Franco Cardini, professore di storia medievale all’Istituto di Studi Umanistici di Firenze, guarda soprattutto al lato storiografico del cardinale-politico: «È un personaggio estremamente importante perché ha risolto alcuni problemi non affrontati da Enrico IV, l’ex capo ugonotto convertitosi al cattolicesimo per diventare re di Francia. La situazione della Francia del tempo era quella di uno Stato diviso in alcune potenze interne quali l’aristocrazia, i calvinisti, la Chiesa. Richelieu fa un passo avanti importante costruendo lo Stato assoluto stabilendo un accordo con la borghesia produttrice ed eliminando le residue presenze calviniste». Cardini ricorda comunque come «se egli internamente porta avanti una politica di riconquista cattolica, esternamente si pone contro la Santa Sede e nella Guerra dei Trent’anni si schiera contro la Spagna cattolica e l’Impero». Su Richelieu va tolta quella patina negativa e sprezzante, dettata dal «giudizio romantico» che secondo Cardini si è appiccicata su questa personalità soprattutto a causa dei Tre moschettieri di Dumas, poi approfonditasi in numerosi film: «Richelieu fu un grande politico moderno fondatore di uno Stato che fu prim’attore fino alla prima metà del Settecento».
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