lunedì 14 maggio 2012
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A un anno dal sacrificio di Mohammed Bouazizi che, immolandosi, ha propagato l’incendio in tutto il mondo arabo, e nel primo anniversario della rivoluzione di piazza Tahrir, l’ottimismo per gli sviluppi che queste rivolte possono portare si alterna a una certa disillusione sulla fase di transizione che il Nord Africa e il Medio Oriente stanno attraversando. Se la rivolta si è diffusa da un Paese all’altro è perché tutto il mondo arabo attraversa da anni una crisi fortissima, forse la più profonda della sua storia. La gente vive da troppo tempo nella sofferenza e sperando in un cambiamento. Mancava solo la scintilla per far scoppiare l’incendio. In Tunisia le cose sembrano andare meglio che altrove, perché il Paese è più piccolo, c’è un livello medio d’istruzione più alto che nella maggioranza dei Paesi arabi, c’è stato storicamente un maggiore influsso democratico durante il periodo coloniale francese e anche oggi resta un forte legame con la Francia. Tutto questo malgrado la vittoria del movimento islamico Ennahda di Rached Ghannouchi, tornato da un esilio di 22 anni in Inghilterra. La vittoria degli islamici era prevedibile in Tunisia come in Egitto, non tanto perché sono stati fra i pochi oppositori ai regimi precedenti, ma perché hanno un forte influsso sul popolo. I nostri sono popoli religiosi e gli islamici si presentano come difensori dell’islam e della vera religione. Il popolo ha grande fiducia in loro… un po’ come una volta il popolo cristiano si affidava al clero per sapere come agire nella vita quotidiana. La nomina alla presidenza della Repubblica di un liberale come Moncef Marzouki, già leader dell’opposizione e attivista per i diritti umani, e il fatto che gli islamisti non abbiano la maggioranza assoluta, dunque che debbano coalizzarsi con i liberali e i laici, fa ben sperare. In Egitto l’affermazione di un liberale sarà molto più difficile, perché gli islamisti sono ben più forti e radicati che in Tunisia o in Siria. La rivoluzione è stata fatta dai liberali e dai giovani, che però per la loro inesperienza si trovano sorpassati dai ben più disciplinati partiti islamici, che hanno di fatto accantonato per il momento la richiesta iniziale formulata dai manifestanti di uno «Stato civile», rispettoso della religione ma non sottomesso ad essa. I cristiani si sono mobilitati nel corso della Primavera araba molto di più di quanto avrebbe voluto la gerarchia copto-ortodossa, ma arrivano tardi, non sono affatto organizzati rispetto ai Fratelli musulmani.
I salafiti si sono aggiunti all’ultimo momento e non ci si aspettava un successo del genere. Ma il fatto che quasi il 50% degli elettori abbia partecipato al voto è un elemento molto positivo. In passato la partecipazione era del 5-7%. La gente non andava a votare perché sapeva che tanto i risultati sarebbero stati truccati. Nei primi turni elettorali delle elezioni per i 498 membri dell’Assemblea popolare, svoltisi nell’autunno 2011, c’è stata un’affermazione decisa, con oltre il 60% dei voti, dei partiti islamici, sia di quelli ormai considerati moderati come i Fratelli musulmani, sia dei ben più radicali salafiti. Malgrado questo voto inaspettato, continuo a sperare, perché la tendenza della popolazione più istruita è liberale e, per così dire, laica. Addirittura, l’università islamica Al-Azhar, la più famosa nel mondo islamico, si dice favorevole a un governo che non sia prevalentemente islamico. Gli islamisti dovranno coalizzarsi con i liberali se non vogliono tradire gli ideali della rivoluzione. In Siria la situazione rischia di farsi durissima, perché il regime non vuole cedere e perché la gente non ha più paura di morire. Sanno che scendendo in strada possono venir fucilati senza motivo, subire torture ancora più disumane di quanto già non sia disumana la tortura, secondo i racconti raccapriccianti di tutti quelli che sono usciti vivi dalle prigioni. Eppure affrontano tutto questo, in maggioranza disarmati, per la sete di diritti, giustizia, libertà. Il presidente Bashar Al-Assad ha fatto delle promesse, in modo da continuare a guadagnare tempo, pensando di fare il furbo con la Lega araba, con l’Europa e con il proprio popolo. Con suo padre, Hafiz Al-Assad, questo sistema ha funzionato per anni, perché era carismatico e violento. Ma Bashar non ha la forza e il carisma del genitore, in dieci mesi ha già lasciato uccidere più di 5 mila persone, e non cederà il comando perché sa che sarebbe la fine per tutto il clan al potere. Verrebbero eliminati tutti. L’unica soluzione che vedo è una mediazione da parte di una parte terza accettata dalle fazioni in lotta.
Ma forse ormai è già troppo tardi: è diventata una questione di vita o di morte per entrambi, perché se il popolo rinuncia alla lotta non sarà servito a nulla perdere così tante vite umane. In Libia il futuro è ancora molto incerto. Vi sono affermazioni di tipo islamista, ma il problema che vedo è soprattutto come fare per riconciliare tutte le tribù e indirizzarle verso lo sviluppo. L’industria nazionale è all’inizio, e non si sa se riusciranno a far progredire il livello del Paese. Inoltre, il rapporto con l’Occidente è assai ambiguo, a causa degli interessi legati al petrolio e a tutta la politica seguita negli ultimi decenni da Gheddafi. In Arabia Saudita non vi è stata primavera araba (o meglio: è stata soffocata sul nascere con i militari).Ma la gente chiede riforme. In Paesi come Yemen e Bahrain la rivoluzione ha già dato dei frutti consistenti: né l’uno né l’altro potranno continuare come prima. In Marocco non vi è stata la rivoluzione, ma il timore che arrivasse ha suscitato nuove riforme sociali. Già da tempo era stata varata una riforma del diritto di famiglia (la Mudawwanah), che valorizzava la condizione della donna… Insomma, il mondo arabo sta cercando ovunque la sua strada. Come si riflette tutto questo sulla situazione dei cristiani? I cristiani, che sono dappertutto in minoranza nel Medio Oriente, stanno attraversando un periodo molto difficile. Poiché da una parte sono favorevoli al movimento di liberazione, e insieme agli altri cittadini chiedono più libertà, democrazia, giustizia, parità fra uomo e donna, uguaglianza fra musulmani e non musulmani; d’altra parte hanno paura dei cambiamenti, perché i regimi passati, anche se in qualche modo dittatoriali, hanno garantito alle minoranze una certa protezione e l’uguaglianza con i musulmani. Con la caduta dei regimi è emerso il pericolo – che in parte è già una realtà – del fondamentalismo islamico. Si è visto, nel collasso dell’Iraq, come gli estremisti musulmani abbiano aggredito anche i cristiani. Recentemente, in Egitto è accaduto lo stesso con gli assalti dei salafiti alle chiese. Il rischio è che le discriminazioni diventino persecuzione aperta. Il problema maggiore di noi cristiani è che nel mondo arabo siamo schiacciati tra due mali: l’estremismo islamico o la dittatura. Gli islamisti fanno paura sia ai governi che alle minoranze cristiane. La risposta del governo è quella di tenerli sotto controllo come solo una dittatura può fare. La difesa del regime siriano di Al-Assad da parte dei cristiani va inquadrata in questo contesto. Tutti sono convinti che, se il regime cade, saranno gli islamisti a prendere il potere; tra i due mali, i cristiani preferiscono la libertà religiosa. La privazione della libertà politica è per loro secondaria, visto che sono già praticamente esclusi dalla vita politica. Che fare? Quale atteggiamento avere di fronte alle lotte di liberazione dalle dittature, e di fronte all’eventualità che gli islamisti assumano il potere? Io credo che non si possa, per evitare il rischio del fanatismo, scegliere il potere totalitario dei regimi.L'unica soluzione a mio avviso è di collaborare con gli islamisti per cercare di far capire che l’islam non è in se stesso un bene per il popolo: il bene del popolo è la libertà religiosa, che comprende anche la libertà di non credere. Non c’è altra via, anche se risulterà tremendamente difficile, che quella di collaborare con gli islamisti che arriveranno al potere, cercando di mitigare l’estremismo e di aprire il più possibile la riflessione politica ai valori comuni anche dei non cristiani. Personalmente non temo tanto un regime islamico quanto la possibilità dell’intolleranza. La soluzione è nella partecipazione alla politica. In questo modo si farà strada anche una reciproca educazione al pluralismo, al rispetto dei valori della maggioranza: i cristiani impareranno ad agire con discrezione e rispetto verso la maggioranza, a non mangiare pubblicamente durante il Ramadan, senza però che debba essere imposto ai cristiani di osservare il digiuno islamico. E si farà strada una diversa mentalità tra gli immigrati in Occidente, come non smetto di ripetere ai musulmani residenti in Europa: «Tenete presente che l’Europa è una società cristiana, di origine se non di fatto. Cercate dunque di rispettare la tradizione del Paese che vi ospita, e la gente vi tratterà con più rispetto». L’obiettivo essenziale dei cristiani in Medio Oriente deve essere quello di contribuire a costruire il concetto di cittadinanza. Il problema non è religioso. Il problema del mondo arabo è che siamo qualche secolo indietro rispetto al cosiddetto «primo mondo». I problemi sono quelli di assicurare a tutti lo studio, il lavoro, un salario dignitoso. Come costruire questo mondo insieme? Come rispettare le scelte di ognuno, purché non siano dannose per gli altri individui? Come consolidare la parità per tutti i cittadini? Perché l’obiettivo ideale è proprio questo: arrivare ad affermare, in seno alle società a maggioranza islamica, il principio che esistono solo dei cittadini. Siamo tutti cittadini e vogliamo lavorare per la nostra cittadinanza. Passeremo probabilmente per un periodo difficile ma è inevitabile: questa è l’unica strada ed è così che porteremo a compimento la missione dei cristiani del Medio Oriente, che è quella di difendere i valori etici ed umanistici del rispetto, della giustizia, dell’uguaglianza, della bontà, della solidarietà e dell’amicizia verso tutti. Quello dev’essere il nostro orizzonte: dialogo e non scontro, come purtroppo si vede in alcuni circoli cristiani che all’aggressività di alcuni ambienti musulmani rispondono con l’aggressività. E se anche comporta delle sofferenze, non mi devo sorprendere: la storia dell’annuncio del Vangelo è fatta di questo.
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