domenica 6 dicembre 2020
Il direttore si prepara alla inedita “prima” della Scala salvata da tv e streaming. «Faremo insieme un lungo viaggio nel melodramma come specchio di questi tempi. Ma che si ritorni a fare musica»
Riccardo Chailly in una immagine di repertorio

Riccardo Chailly in una immagine di repertorio - Ansa

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A Riccardo Chailly non era mai successo «in più di quarant’anni di carriera, di dirigere senza pubblico». Gli capita in questi giorni nei quali il Teatro alla Scala è diventato un grande studio televisivo, un set dove si registra il concerto A riveder le stelle che domani inaugura la stagione del Piermarini dalle 16.45 su Rai 1, ma anche su Radio 3 collegata al circuito Euroradio, in streaming su RaiPlay e su MediciTv e, dalle 20.30, sulla piattaforma digitale di Arte per la trasmissione in Francia e in Germania. «Ed è una sensazione davvero straniante dirigere senza il pubblico» racconta il direttore musicale della Scala che sarà sul podio per questo Sant’Ambrogio a porte chiuse, con il pubblico virtuale di tv e streaming. Il musicista milanese guida una squadra di ventitré voci del panorama lirico internazionale, impegnate in uno spettacolo affidato alla regia di Davide Livermore: erano ventiquattro le stelle annunciate, ma venerdì Jonas Kaufmann ha rinunciato a cantare il Nessun dorma dalla Turandot di Puccini per un’indisposizione. Ad aprire la serata la voce di Mirella Freni, scomparsa a febbraio. E poi la danza con Roberto Bolle e i primi ballerini del Corpo di ballo scaligero su coreografie di Nureyev e del neodirettore Manuel Legris. «Dal 1° dicembre è un andirivieni di artisti, di prove a incastro per realizzare un grande mosaico che si sta componendo tessera per tessera».

Quale sarà l’immagine finale che si vedrà (si ascolterà) domani pomeriggio su Rai 1, maestro Chailly?

«Una storia del melodramma italiano, cento anni di opera in centocinquanta minuti di musica, dal Guglielmo Tell di Rossini alla Turandot di Puccini. Un viaggio che vuole essere uno specchio del tempo che stiamo vivendo, che inizierà con le note del preludio del Rigoletto di Verdi con il tema della maledizione e culminerà nel finale dell’opera sull’eroe svizzero, una pagina che invita alla speranza, che ho scelto d’istinto, ancora prima di pensare all’intero programma. Ho voluto che come suggello di questa serata ci fossero le parole del libretto del Tell tradotte dal francese da Calisto Bassi: «Tutto cangia, il ciel si abbella, l’aria è pura, il dì raggiante. E allo sguardo incerto, errante, tutto dolce e nuovo appar. Quel contento che in me sento non può l’anima spiegar». Perché sono molte le cose che non riusciamo a spiegarci in questo momento, la felicità come il dolore.

Come vive questo tempo sospeso?

Con un atteggiamento di crescente preoccupazione. Se non arriva una soluzione, che sia il vaccino o altro, temo che ci sarà il rischio per la nostra società di cadere in un’ossessione che si potrà trasformare in un incubo collettivo. La speranza è che non accada e che presto si possa tornare alla nostra normalità».

Che per un musicista è quello di fare musica con il pubblico in sala.

«In questi mesi di stop forzato ho imparato a vivere la nostra quotidianità di artisti, quella fatta di musica come l’abbiamo sempre fatta, come un privilegio. L’ho sperimentato nelle ripartenze, in questo 7 dicembre e nella ripartenza tanto attesa di settembre con sei progetti, a partire dalla Messa da Requiem di Verdi, in poche settimane. Questo periodo ci ha fatto prendere coscienza della fortuna e della bellezza del nostro lavoro. La speranza ora è quella di tornare a fare musica come abbiamo sempre fatto, con il pubblico in sala, i musicisti in buca e sul palco».

Intanto ci si affida alla televisione e allo streaming.

«Dirigere a porte chiuse non è il modo ideale, ma è la via che oggi abbiamo per continuare a fare musica e per raggiungere ogni tipo di ascoltatore di qualsiasi età in tutto il mondo. Certo, dover fare musica senza il pubblico per un artista è complicatissimo perché non c’è il riscontro immediato, ma soprattutto perché con la nostra professione cerchiamo di trasmettere emozioni collettive e se in sala manca il destinatario di quelle emozioni manca il senso di quello che facciamo. Questa inaugurazione fuori dagli schemi, che mi auguro resti un unicum perché vorrà dire che il prossimo anno ci saremo buttati il virus alle spalle, è un esperimento, un’avventura dettata dal destino della pandemia. Lo sforzo è immane perché più c’è distanziamento più è difficile l’esecuzione e dal podio devo mettere in campo una grande capacità di governare il tutto: l’orchestra è su una pedana in platea, i coristi sono nei palchetti e i cantanti alle mie spalle, sul palco a proporre arie e duetti in forma semiscenica».

Uno spettacolo a misura di televisione, dalle 16.45 sino al Tg1 delle 20.

«La tv, però, in questo caso non è un compromesso da accettare, ma un grosso vantaggio per entrare nei meandri di un racconto che non si potrebbe fare in teatro quando si fa un’opera. Con il regista Davide Livermore abbiamo messo a punto una drammaturgia di testi che collocano le arie nel contesto delle opere da cui sono tratte, tutti capolavori imprescindibili della storia del melodramma, disegnando filoni tematici e proponendo al pubblico micro racconti chiusi in sé».

Un concerto al posto della prevista Lucia di Lammermoor che avete iniziato a provare per qualche settimana prima di accantonare il progetto.

«Ho accettato con nostalgia e con una punta di dolore la decisione del sovrintendente Meyer di non fare l’opera perché i casi di positività in teatro erano molti e l’ho condivisa da subito perché ritengo che la tutela della salute sia da mettere al primo posto. Cautela è la parola d’ordine tanto che concordo pienamente con la scelta del sovrintendente di lavorare per progetti trimestrali senza annunciare ciò che non siamo certi di poter eseguire. Lucia, come Salome di Strauss che era in pratica pronta per andare in scena a marzo, è solo rimandata. Non avevo mai diretto Lucia integralmente, avevo affrontato solo alcune pagine. Roger Parker era riuscito a ricostruire la versione originale del 1835 di Napoli (con una tessitura più acuta per la protagonista) che avrei avuto sul leggio come omaggio a Donizetti che mancava da un 7 dicembre dal 1967 quando si ascoltò proprio Lucia. Che, una volta passato tutto, tornerà alla Scala».

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