sabato 30 giugno 2012
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Che bello svegliarsi in un mattino imburrato di foschia, subito spazzata dal vento caldo dell’Est (polacco) e scoprire che il calcio d’Europa sta dando a Cesare quel che è di Cesare. In due anni, da quando Prandelli ha preso in mano la Nazionale, ha seminato solo energie positive, buone sensazioni e ha trasmesso la passione per il "gioco del calcio" ai suoi ragazzi. Il raccolto: una finale anticipata, quella di Euro 2012 contro una Spagna che per il ct azzurro rimane «un punto di riferimento di valori tecnici e caratteriali». Questo è il senso del gioco per Cesare.Il giorno dopo la lezione di italiano alla Germania e il pass per l’inimmaginabile, alla vigilia degli Europei, finale di Kiev, il primo appello di Prandelli va proprio alla Federazione. «Ho sempre detto che ho un rapporto straordinario con la Figc, e non penso di lasciare, ma al di là di questo, fatico a capire se c’è la qualità della vita che cercavo. Gli ultimi due mesi sono stati pesanti. Ne riparleremo...». Come il suo Mario lavora d’istinto, Cesare opera sempre di riflessione. La ricerca della profondità prima che a Balotelli, la chiede a se se stesso. Ha stravinto «la partita più importante in carriera» da quando siede su una panchina, quella contro la temuta Germania di Loew, data per finalista sicura in questo palpitante Europeo, eppure Cesare non cambia di un millimetro il suo percorso. Vuole incidere sul sistema calcio e chiede «che non ci si ricordi dell’Italia solo quando vince e porta in piazza milioni di persone». È un appello contro lo strapotere dei club che ostacola il suo lavoro in azzurro, ben riuscito comunque perchè, dice, «al di là dei risultati, l’obiettivo era far riavvicinare la gente. E ci siamo riusciti». Intanto, come aveva fatto dopo il passaggio ai quarti - con i suoi fidi collaboratori è tornato in pellegrinaggio sul Monte d’Argento, al monastero dei camaldolesi di Bielany, a rendere grazie prima di tutti a Dio. L’uomo non cambia, solo il ct, al limite, può fare delle modifiche a questa squadra che, con gli occhi stanchi e anche un po’ emozionati, confessa: «Sono orgoglioso di allenarla».In un mondo dove anche chi vince un campionato di C si sente subito un santone, il Cesare si accontenta di vivere riscaldato dagli affetti famigliari, dalla stima incondizionata dei suoi giocatori, dalla riconoscenza degli ex ribelli, ma sempre più geni, Mario e Antonio. Grazie a lui è tornata l’Italia dei fratelli della porta accanto che puoi chiamare per nome, come facevano quelli dell’82 pensando a Dino (Zoff), Antonio (Cabrini) e Paolo (Rossi). O quelli di Germania  2006, con Marco (Materazzi) Rino (Gattuso) o Fabio (Cannavaro). Dopo il trionfo di Berlino però si era subito smarrito quel senso di Nazionale-famiglia, cominciato con Valcareggi nel ’70 ed ereditato da Bearzot, entrambi castigatori della Germania. Anche Lippi aveva umiliato i tedeschi e a casa loro, semifinale di Dortmund, ma il successo a volte fa perdere la testa e si finisce per credere di essere degli eroi, invincibili. Così due anni fa, nell’atmosfera sconfortante dei Mondiali del Sudafrica chiedemmo al ct egoarga, perché non avesse convocato i due giocatori di maggiore fantasia del nostro calcio: appunto Balotelli e Cassano? Il silenzio dei perdenti. Tra i tanti meriti che si devono riconoscere a Prandelli, è l’aver dato fiducia a due talenti immensi che invece il "cinese" di Viareggio aveva squalificato, forse anche umanamente. Cesare scruta nell’anima, prima che nei parastinchi dei calciatori e quel codice etico, nel giorno delle celebrazioni, ci tiene a ribadire che «quando ho detto che mi sarebbe piaciuto convocare giocatori degni come comportamenti, mi riferivo al campo, non avevo messo in conto gli avvisi di garanzia. Io mi fermo ai 90 minuti, non voglio altre responsabilità». Non vuole sconfinare dal campo di calcio Prandelli, ma non ha abbassato il capo neppure quando i potenti hanno provato a fare invasione nel suo. Nessuna polemica comunque. Nemmeno con il premier Mario Monti che aveva ipotizzato di sospendere i campionati per due-tre anni, alla luce dell’ennesimo Calcioscommesse. «Monti verrà a vederci a Kiev? Non sono sorpreso», è la sua unica, trasparente, osservazione.Ma chiudiamola qui con la politica in fuorigioco, perché a Cesare interessa una cosa sola: far capire che non è vero come sosteneva sempre Gaber che la "qualità non è più richiesta", nel calcio di oggi «è solo con la qualità, la creatività e il coraggio di cambiare che si ottengono i grandi risultati». Prandelli per restare al suo posto chiede di essere aiutato a non deformare la realtà. Un esempio? Fino a ieri Balotelli era considerato solo il "nero d’Italia", oggi viene issato a bandiera di questa Nazionale. E Prandelli non ci sta: «Il simbolo è la maglia azzurra e questa è un qualcosa che deve unire. In certi momenti la presenza di Balotelli ha diviso, ma sono convinto che alla fine Mario potrà solo unire». Stringiamoci a coorte e teniamoci stretto il nostro Cesare.
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