venerdì 20 luglio 2012
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​Io sono uno scrittore ebreo americano, ma accetto questa definizione se mi si dice che John Updike è uno scrittore protestante americano, Flannery O’Connor una scrittrice cattolica americana ed Ernest Hemingway un narratore americano del Midwest.
Del resto al cuore di ogni cultura vi è un modo molto particolare di vedere il mondo, una modalità con cui si pensa l’esperienza umana. La civiltà occidentale, per esempio, attinge le sue idee centrali da Cartesio, Spinoza, Kant, Hume, Hegel, Nietzsche, Darwin, Freud, Picasso, Stravinsky, Kafka e molti altri. Ma sempre all’interno della civiltà occidentale esistono un certo numero di altri modi di vedere il mondo che non sono letture «laiche» dell’esperienza umana. Si possono constatare, ad esempio, diversi tipi di modi di pensare cristiani, variegate tipologie di pensiero ebraico, altre prospettive etniche, eccetera. Tutti noi cresciamo in realtà particolari: una casa, una famiglia, un clan, una piccola città, il quartiere. Duecento anni fa la maggior parte delle persone non era cosciente di nessuna altra realtà rispetto a quella in cui era cresciuta. Ma oggi, in maniera molto veloce, siamo consapevoli di molte altre prospettive sulla condizione umana e ciò avviene a causa dei  mass media e della velocità con cui la gente viaggia nel mondo.
Così capita oggi che le idee iniziano a scontrarsi le une con le altre all’interno delle stesse persone. Se ti siedi davanti alla televisione, può accadere che un’idea molto differente da te arrivi a toccarti in maniera veloce proprio dal tubo catodico. Questo è un confronto culturale. Ve ne sono di diversi tipi. Nei miei romanzi mi occupo di confronti culturali «cuore a cuore». Ovvero, un individuo cresciuto al centro di una particolare visione del mondo incontra idee che arrivano dal nerbo centrale della civiltà occidentale in cui viviamo. […]
In questo non mi sento molto vicino a Philip Roth perché egli si occupa delle «periferie». I suoi ebrei sono periferici così come i suoi «laici». Anche i suoi professori non sono veramente professorali. Uno dei modi con cui si possono affrontare incontri tra soggetti culturalmente periferici è quello dell’umorismo. Io non mi sento molto vicino a questo modo di scrivere storie. Anche i personaggi di Saul Bellow sono ebrei periferici e invece si collocano proprio al centro del mondo secolare. Questo è un altro tipo di modello di confronto. In fin dei conti uno scrittore, un artista, è intrappolato nelle sue proprie esperienze particolari e nella sua visione delle cose. La mia esperienza è completamente diversa da quella di Roth. Sebbene entrambi scriviamo di ebrei, gli ebrei di cui narriamo sono differenti, concettualmente diversi. Non so come Roth potrebbe parlare con uno degli ebrei dei miei romanzi se un giorno lo incontrasse per strada, al di là di qualche espressione yiddish. Bellow saprebbe parlare con loro su qualcosa di profondo perché egli si era formato culturalmente da ebreo. Bellow conosceva bene la letteratura yiddish. Ma si sarebbe fermato lì; non sarebbe stato capace di passare da quella yiddish a quella rabbinica, ovvero al contenuto precipuo della tradizione rabbinica. Comunque io mi sento più vicino a Bellow rispetto all’ebraismo, per quanto in Roth vi siano ebrei da tutte le parti.
Cosa decisamente interessante, io mi considero più vicino a persone come James Joyce in termini di modelli narrativi, proprio per quello che sto cercando di fare. Joyce era al cuore del mondo cattolico e allo stesso tempo al centro dell’umanesimo laico occidentale. E questo confronto, sia come artista che come essere umano, nel XX secolo era un confronto «cuore a cuore». Come essere umano egli fuse il suo cattolicesimo con la sua laicità e produsse un modo di scrivere che potremmo definire «cattolico-laico». Le sue epifanie, i suoi «sacramenti linguistici», il modo in cui egli struttura e vede le cose, sono tutte cattoliche, da gesuiti, ed egli ha percorso laicamente il suo cattolicesimo. Questo è quello che capita anche a me. Io stavo dentro la tradizione ebraica e vi portai dentro la laicità. Joyce portò il cattolicesimo dentro la laicità e io condussi il dato laico nell’ebraismo.
Se guardo agli autori cattolici del Novecento, io mi sento affine a Flannery O’Connor e, cosa decisamente interessante, anche a Graham Greene, in misura non piccola. Egli lotta con il problema del male nel suo strano cattolicesimo.
(Traduzione di Lorenzo Fazzini)
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