Marc Augé, riflettendo da antropologo sui cambiamenti in atto nelle nostre città , ha offerto spesso agli architetti tracce preziose e tempestive per capire meglio il sigificato della loro azione. Oggi mette a fuoco con sereno distacco il ruolo che l’architettura si è scelta negli ultimi decenni attraverso la concentrazione in poche mani eccellenti dei progetti-guida di trasformazione della città e registra la capacità della architettura contemporanea di interessare e coinvolgere cittadini e turisti : «Gli architetti più in vista – nota Augé – sono celebrati nel mondo intero e alcune città di media importanza cercano di ottenere che uno di essi costruisca una sua opera sul suo territorio per accedere alla dignità planetaria e turistica». Dunque è l’accesso alla "dignità planetaria e turistica" il movente che spinge il pubblico e il privato a realizzare "grandi opere" che esprimono il potere delle imprese e per emergere «tendono a sviluppare discorsi necessariamente eccessivi sul significato dell’edificio». Osservazioni acute dietro le quali si cela una accusa che molti architetti non accetterebbero di buon grado , il "plagio" cioè «della ideologia degli imprenditori». Se le cose stanno così il tradimento nei confronti della Architettura Moderna , con il suo bagaglio etico , è ormai un fatto compiuto e il programma culturale di molti architetti che pensano di lavorare per portare fino in fondo il programma della modernità è solo una illusione insensata. Saggiamente Augé non vuole uscire dal suo seminato di antropologo ed etnologo ma offre agli architetti argomenti per una autocritica radicale e propone cautamente un programma alternativo , quello di "rammendare" la città invece di pretendere di ri-inventarla con i simboli dei poteri dominanti. Per rammendare occorre conoscere a fondo ciò che si rammenda, occorre individuare i confini dello strappo, occorre capire con che tipo di tessuto il rammendo può riuscire meglio ed ecco che il concetto di paesaggio ci viene in aiuto in quanto implica un rapporto preciso con la terra; dobbiamo «rimodellare un paesaggio urbano moderno» nel senso inteso da Charles Baudelaire, afferma Augé e aggiunge che occorre proiettare l’ideale anche «negli appartamenti più modesti» dove dovrebbero combinarsi il privato, il familiare e la relazione con l’esterno. «Tutto finisce – conclude – con l’individuo più modesto, non tenendo conto del quale «le più grandi imprese sono vane». Augé non parla di crisi economica ma individua implicitamente una conversione della architettura dalla superbia all’umiltà che sarebbe il modo migliore per tentare di trasformare la crisi in una opportunità di cambiamento. Una architettura che difenda i cittadini dalle conseguenze negative della crisi non può essere che una architettura della semplicità che riprenda contatto con bisogni e speranze comuni, una architettura realistica che torni a considerare la casa, la città, gli spazi comuni di incontro e di scambio come i temi di ricerca più appassionanti e consideri lo spreco di energia, di risorse, di tempo umano, insostenibile e assurdo. Accanto a questi tipi di spreco va collocato anche il sacrificio delle occasioni di incontro e di scambio tra i cittadini che la città di oggi rende sempre più difficili e contro il quale gli architetti possono opporre la strategia della città partecipata. L’architettura descritta da Augé, in cui gli architetti plagiano l’ideologia degli imprenditori è l’Architettura del Consumismo, l’architettura di una società che per incrementare le vendite utilizza l’immagine pubblicitaria (che è spesso una immagine architettonica) come strumento per indurre bisogni artificiali, una società in cui si promuove la rapida obsolescenza dei prodotti per rinnovarne la necessità, una società che ha prodotto un’arte che rinuncia al gusto del lavoro e disprezza la durata dei suoi prodotti. Intervenire sul tessuto urbano , ricostruendone la genesi per riammagliarlo e renderlo corrispondente ai desideri e ai bisogni dei cittadini è stato uno dei grandi impegni della architettura italiana negli anni centrali del novecento. Forse è proprio questa l’eredità da riscoprire che può aiutarci ad uscire dall’equivoco di una "splendida" architettura dello spreco. Nel proporci di rammendare la città Augé suggerisce una svolta coraggiosa che la crisi rende non solo possibile ma necessaria.