martedì 6 luglio 2010
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«Benvenuto nella mia caverna!». Ma più che una grotta, lo studio di lavoro di Aharon Appelfeld è davvero un’officina di parole. I muri sono tappezzati di libri, in inglese, ebraico, francese, qui e là qualche testo in italiano, come I sommersi e i salvati di Primo Levi, che di Appelfeld era un grande estimatore. Inoltre, vi compaiono oltre una ventina di attestati, premi letterari, lauree honoris causae che hanno reso celebre in tutto il mondo Appelfeld: i suoi romanzi son tradotti in una trentina di lingue. Il 78enne romanziere accoglie di buon grado il visitatore straniero e spazia, in un colloquio franco e sincero, dalla letteratura all’attualità, che in Medio oriente bussa costantemente alle porte degli scrittori. Il suo ultimo lavoro in italiano è Un’intera vita (Guanda), tradotto da Elena Loewenthal. Appelfeld sarà in Italia il 17 luglio quando a Milano riceverà il premio «Rosa d’Oro della Milanesiana» all’interno dell’omonima kermesse culturale.«Non abbiamo visto Dio ma dei giusti» nei campi di concentramento: è quanto annota in un suo testo. Sembra un concetto molto "cristiano", l’idea che la bontà di Dio si incarna in uomini concreti. Vede anche oggi dei segni di speranza – dei giusti – nella società d’oggi?«Non sono più giovane e per questo nella mia vita ho incontrato diversi medici: sono persone meravigliose che cercano di aiutare gli altri. Ho avuto a che fare anche con molti infermieri e infermiere, che ogni giorno provano a darti qualcosa per renderti il dolore più sopportabile. Non tutti sono perfetti, ma la maggior parte di questi professionisti si dedica con impegno al proprio lavoro. Ma penso anche agli insegnanti che fanno scuola ai bambini. Insomma, nella nostra società ci sono ancora persone che si dedicano agli altri. Per questo dico che intorno a noi non c’è solo un buio oscuro ma anche delle luci che illuminano. Quando ero nel ghetto o in campo di concentramento – furono momenti terribili – ho incontrato delle persone che mi hanno dato un pezzo di pane, semplicemente un pezzo di pane. Ma quel tozzo di pane mi ha dato la speranza che gli uomini non sono tutte bestie e che vi è ancora luce nella storia. Ho conosciuto persone meravigliose la cui saggezza mi ha allietato, fossero essi completamente "laici" o credenti, ebrei e non ebrei. In «Storia di una vita» lei racconta del salvataggio di ebrei in conventi cattolici: può dirci qualcosa di più?«Durante la seconda guerra mondiale ci furono dei bambini ebrei salvati da preti e suore. Io l’ho visto con i miei occhi, nella mia città, Czernowitz, in Polonia. Ho davanti agli occhi l’immagine di una suora che nel ghetto salva un bambino ebreo. E questo era qualcosa di pericoloso perché gli ebrei erano condannati a morte, quindi chi cercava di metterli in salvo lo faceva a rischio della propria vita. Coloro che trassero in salvo un ebreo durante la seconda guerra mondiale furono davvero degli eroi. Anche in Italia incontrai gente meravigliosa; fu la prima volta che ciò avvenne durante la guerra: venivo dai campi, alcuni italiani mi diedero cibo e vestiti, furono molto gentili».Come lei concilia la sua visione di credente e di scrittore?«Io non sono interessato all’ironia, mi pongo sempre con rispetto di fronte agli uomini e cerco di esser loro vicino. So che l’uomo non è un compito facile, specialmente se è vecchio. Ma gli esseri umani vanno sempre rispettati, siano essi bimbi, anziani, donne: perché questo è il modo con cui ci si può avvicinare al "grande segreto" che è Dio: attraverso gli esseri umani. Dio è una grande astrazione, gli uomini invece sono una grande realtà concreta. L’anima di Dio è troppo in alto per noi, non la raggiungiamo. Mentre possiamo essere vicino agli esseri umani».Con lei non si può non parlare della politica di Israele. Da qualche tempo sono iniziati i cosiddetti "colloqui indiretti" tra palestinesi ed israeliani tramite la mediazione statunitense. Come vede oggi la situazione?«Israele è un piccolo Paese; i palestinesi dicono che è il loro Stato, lo stesso fanno gli israeliani. E qui sorge il conflitto. Ma penso che con la buona volontà si tratti di qualcosa che si può risolvere. Del resto, non esiste problema che non abbia la sua soluzione. Serve certamente la buona volontà da entrambe le parti. Ma io penso che nel giro di 5/10 anni si possa arrivare ad una via di uscita. L’unica via è quella del compromesso: io do a te, tu dai a me. Serve razionalità in questo. Ci sono abbastanza pietre in Israele, c’è abbastanza deserto da dividersi tra due: questo a me, quello a te. La soluzione "due popoli, due Stati" è quella giusta. Certo, non ci si deve terrorizzare reciprocamente né bombardarsi bensì parlarsi e confrontarsi. A livello di leadership, vedo persone positive da entrambe le parti, che non vanno demonizzate. Certo, se è difficile parlarsi a livello individuale, figurarsi tra popoli diversi! Ma con il compromesso ci sarà prosperità per entrambe le nazioni». La Chiesa cattolica considera prioritario il dialogo interreligioso. Lei come valuta tale dimensione?«Certo che ci deve essere dialogo, le persone religiose devono parlarsi e cercare di capirsi, proprio come noi due stiamo facendo ora. Del resto vi sono individui splendidi tra ebrei, cattolici e musulmani. Forse che il loro incontrarsi non offrirà un apporto positivo al mondo d’oggi?».
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