mercoledì 21 aprile 2010
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Il pogrom scatenato dai nazisti in Germania tra il 9 e il 10 novembre 1938, durante la cosiddetta «notte dei cristalli», non manca certo di documentazione. Di fronte ad un ulteriore libro sul tema (Nie mehr zurück in dieses Land, a cura di Uta Gerhardt  e Thomas Karlauf, edito da Propyläen Verlag) ci si chiede allora che cosa esso possa aggiungere al già noto. Molto, a cominciare dalla storia della sua realizzazione, davvero particolare. Nell’agosto del 1939, nove mesi dopo il pogrom, un articolo del "New York Times" intitolato «Prize for Nazi Stories» annunciava un’iniziativa dell’università di Harvard: alcuni studiosi erano alla ricerca di testimonianze sulla vita in Germania prima e dopo l’avvento di Hitler e ai cinque migliori scritti inediti che sarebbero loro pervenuti avrebbero riservato un premio complessivo di oltre mille dollari. Insomma un vero concorso. I manoscritti raccolti, che dovevano essere redatti in tedesco o in inglese, avrebbero costituito una raccolta utile a capire «gli effetti sociali e spirituali del nazionalsocialismo sul popolo tedesco». I testi, al fine di difendere gli autori da eventuali rappresaglie, sarebbero stati trattati «in forma riservata» e in ogni caso era fondamentale che fossero «veritieri», «il più possibile semplici, immediati e esaustivi». Alla data del 1° aprile 1940 erano giunti oltre 250 manoscritti: 155 dagli Usa (di cui 96 dalla sola New York), 31 dalla Gran Bretagna, 20 dalla Palestina, e 6 da Shanghai). Gli autori erano in gran parte ebrei che avevano abbandonato i territori del Reich tedesco dopo il pogrom e tra loro in particolare accademici, avvocati, medici, insegnanti, originari soprattutto di Berlino e Vienna. Vicende personali e professionali dei promotori del «concorso» impedirono la conclusione del progetto, tanto che le testimonianze raccolte allora sono rimaste inosservate per decenni negli archivi di Harvard. Quella proposta ora dai curatori Gerhardt (che li ha scoperti nel 1995) e Karlauf rappresenta una selezione di quei manoscritti, il cui valore non risiede tanto nel nudo e crudo racconto delle violenze di quei giorni, un «opaco preludio" di ciò che sarebbe accaduto da lì a breve con la Shoah, piuttosto, come sottolinea Saul Friedländer nell’introduzione al libro, «nella eccezionale ricchezza di dettagli che disegnano i sentimenti e le reazioni vissute dagli ebrei tedeschi in quei mesi fatali». Comune a tutte le testimonianze è la necessità di scrivere per «elaborare e ricapitolare il vissuto», così come la coscienza che gli atti di violenza compiuti dai nazisti nel novembre 1938 contro gli ebrei rappresentavano un evento di rottura nell’intera storia della civiltà occidentale. Per tutti la conseguenza sembrava non poter essere che questa: «Non tornerò mai più in quel Paese» (la frase, che è poi quella che dà il titolo alla raccolta, è del medico berlinese Hertha Einstein Nathorff). Ma anche, secondo la visione di Viktor Frankl, sopravvissuto ad Auschwitz: «Tornare? Perché no? Ma dopo Hitler». Già, perché c’è un elemento non secondario che accomuna molti di questi scritti ed è il ricordo di quei tedeschi di varia estrazione sociale che non esitarono a manifestare agli ebrei aggrediti, magari semplici vicini di casa, il proprio disappunto e la propria ostilità verso il regime nazista. Nel libro non manca dunque la voce di alcuni di «quei tedeschi che offrirono aiuto», come li definisce lo stesso Friedländer. Su tutte, la storia, qui narrata, di Marie Kahle. Per essere stata sorpresa ad aiutare una certa Goldstein la donna subì l’espulsione del figlio maggiore dalla scuola superiore, fino ad essere costretta ad emigrare con l’intera famiglia in Inghilterra. Chissà che questo libro non contribuisca allora a scalfire il mito della «colpa collettiva», quel monolite su cui pare doversi ancora fondare l’attuale Germania. Da ultimo merita di essere ricordato il sociologo americano Edward Hartshorne, l’«anima» del progetto pensato nel 1939 ad Harvard. Suo era il titolo della raccolta di testimonianze che ancora nel 1941 aveva intenzione di pubblicare: Nazi Madness, Follia nazista. Di lui la Gerhardt ricorda una frase significativa scritta a commento dei manoscritti raccolti: «I nazionalsocialisti sono solo una piccola banda di criminali che è stata capace di tirannizzare la grande maggioranza silenziosa». Da convinto anti-nazista qual era, dopo l’entrata in guerra degli Usa, Hartshorne seguì le truppe americane in Europa, redasse rapporti e fu attivo nell’opera di «denazificazione» postbellica presso varie scuole tedesche, finché nel 1946 venne ucciso in circostanze mai chiarite con un colpo di pistola sparatogli mentre era in viaggio con la sua auto nei pressi di Norimberga.
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