martedì 13 settembre 2011
COMMENTA E CONDIVIDI
«Se giriamo la nostra Italia vediamo un’infinità di monumenti non turisticizzati, abbandonati dalle istituzioni perché considerati "beni minori", di nessun valore economico, ma che tuttavia vengono "accuditi" dalle persone che vivono nelle vicinanze, in quanto per loro non si tratta di un bene culturale, ma di qualcosa che fa parte della loro identità sociale, spirituale, comunitaria». A parlare è Luca Nannipieri, giornalista e divulgatore, fondatore e direttore del Centro di studi umanistici dell’Abbazia di San Savino, dove organizza manifestazioni e dibattiti internazionali per discutere di valorizzazione delle bellezze storico-artistiche dimenticate dalle istituzioni. In questi giorni esce per Jaca Book un suo libro, La bellezza inutile. I monumenti sconosciuti e il futuro della società, nel quale si legano i fallimenti delle logiche di conservazione, adottate da università e sovrintendenze, col concetto arido di bellezza intesa in senso tecnico ed estetico e non in quanto capace di produrre emozione e quindi contemplazione dell’universale.Un’accusa alle politiche di conservazione del nostro Paese?«Il problema è che la cultura laica contemporanea ha tutto l’interesse a ridurre una chiesa, una pieve medievale, un antico monastero, o anche una delle tante fortificazioni presenti sul nostro territorio, a dei semplici beni culturali».Un interesse ideologico?«Al di là dell’ideologia, la cultura laica, debole e relativista, non ha sviluppato una teoria universale della bellezza. La bellezza artistica è ridotta a estetica, il paesaggio a ecologia. Niente a che vedere, per esempio, con la visione cristiana, che dà centralità di senso e di prospettiva alla bellezza, attribuendole un valore fondativo intrinseco, inteso come il mistero che rende inevitabile il pensiero di Dio». Tanti santi hanno cominciato dalla contemplazione della bellezza del creato.«Proprio perché la bellezza non si esaurisce nell’estetica, ma è un’esperienza che ti accade e ti eleva. Benedetto XVI ha sostenuto che l’arte, intesa in senso alto, conduce a un confronto serrato con quanto di bello ti si presenta nella vita. Ecco, la bellezza, se la comprendi, non la lascia indifferente la tua vita, la interpella».In questo senso sono da intendere le persone che si prendono cura del monumento vicino casa?«Le comunità che si prendono cura di una chiesa antica, per fare un esempio, non sono interessate tanto alle pietre di cui è composta, alle opere d’arte che contiene, ma al significato che nella sua interezza ha per la loro vita, la loro storia e il loro futuro. È per tutto questo insieme che se ne fanno paladini. Sovrintendenze e associazioni per la conservazione, invece, riducono la bellezza a patrimonio storico-artistico, la parcellizzano in definizioni, date, fatti storici senza comprenderla nel significato totale. Così in Italia possiamo vedere monumenti bellissimi, iper restaurati, iper tutelati, ma esclusi dal contesto, non vissuti, culturalmente morti».Ha un paio di esempi?«La Certosa di Calci, a Pisa: straordinaria, bellissima, con una interessante collezione di scheletri fossili, di scheletri di balena, ma nessuno la conosce. È talmente ingessata nella gestione che risulta quasi impossibile visitarla. È una bellezza straniata dal suo contesto: ha perso di senso. Anche molti centri storici musealizzati, come quello di Firenze, ridotti a puro transito di turisti, fruiti solo commercialmente, pur ben conservati, sono stati privati della possibilità di interrogare l’uomo nell’infinità di modi che è intrinseca alla loro bellezza».Al contrario quale potrebbe essere un esempio di rivalutazione totale di un monumento storico?«Mi viene in mente l’Abbazia di Montecassino. Completamente distrutta è stata ricostruita pietra per pietra, non in quanto bene culturale, ma perché capace di testimoniare un valore universale. È per questo che quel luogo è rimasto vivo: quantunque non sia più la plurisecolare abbazia originaria, non ha perduto nulla del senso e del valore di quella. Ma potrei anche parlare del borgo di Fontanellato, capace di rivivere la fortificazione di cui è circondato come fosse un giardino, un luogo di svago dello spirito; oppure della minuscola chiesa di Marcianella, a Pisa, curata dalla gente del luogo, affascinante e sconosciuta, perché il sistema promuove solo Piazza dei Miracoli».Nel suo libro parla, appunto, di «bellezza inutile».Sono i tanti beni sparsi sul territorio, abbandonati da amministrazioni incapaci di comprenderne il significato. Perché i responsabili delle istituzioni che si occupano di conservazione trattano la bellezza come un bene di consumo, ma negano di farlo, dicono che quella chiesa va difesa perché è la testimonianza di un’epoca, perché quella pala d’altare è del tale pittore, perché il castello ha ospitato tizio...».E allora?«Allora bisogna condurre questo ragionamento relativista e vuoto di significati per il presente fino al punto di crisi, che è nella sua inettitudine a produrre una visione generale delle cose, perché capace solo di fermarsi al particolare, all’esteriore. E questo rende deboli, incapaci di futuro».Lei dice che educare alla bellezza significa educare all’eternità.«Perché la bellezza genera stupore e lo stupore spinge oltre il senso fisico delle cose, oltre l’estetica, verso la metafisica».E le citate comunità che si prendono cura della «bellezza inutile»?Non vanno ostacolate, né sfruttate come banali fenomeni di volontariato, ma bisogna dialogare, imparare da loro che il problema della conservazione non è solo tecnico-economico, ma essenzialmente filosofico e ha il suo principio in una compiuta e viva definizione di bellezza».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: