giovedì 25 agosto 2022
Il poeta, che presiederà a Cagliari il Premio per la poesia clandestina, parla dell'amore per gli occitani, dell’amicizia con la generazione beat e della famiglia operaia. «Ogni lirica è spirituale»
Il poeta e performer Serge Pey

Il poeta e performer Serge Pey - Alessandro Battista

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L’opera di Serge Pey, autore francese tra i più apprezzati, è indissolubilmente legata alla poésie action, una pratica artistica che fa dell’esecuzione orale il cuore dell’evento estetico. Esempio di tale sperimentalismo etico-situazionista sono i bâtons de parole, bastoni (originari della cultura amerinda) interamente ricoperti di componimenti declamati con voce ipnotica. Docente di poesia contemporanea all’Università “Jean Jaurès” di Tolosa, Pey ha pubblicato oltre cento sillogi, tra cui Canti elettroneolitici per Chiara Mulas (Dernier Télégramme, 2012) e Storie sarde di animali particolari, di delitti e di speranza (Fermenti, 2021). Nel maggio scorso ha ricevuto il Premio 'Città di Pescara - Sinestetica', organizzato da Luigi Colagreco e Loretto Rafanelli. A Cagliari, sotto la sua direzione, si svolgerà a settembre il Premio internazionale di poesia clandestina, conferito a scrittori scomparsi, la cui opera è stata censurata o dimenticata.

Professore, nella sua lirica trovano spazio la resistenza occitana, i versi trobadorici e le preghiere catare.

Sì, la mia poesia è intessuta di lingua d’oc. Ho scritto due libri in occitano, Notre Dame la Noire ou l’Évangile du serpent( 1988) e Nihil et consolamentum( 2009), tradotti in francese rispettivamente da Éric Fraj e Alem Surre Garcia. È la lingua dei trovatori accolti da Dante ed è sfortunatamente un idioma morto nel nostro presente. Così il poeta non ha soltanto un dovere di resistenza, ma soprattutto di storia e di linguaggio. Come dicevo nel titolo di un vecchio libro: se vogliamo liberare i vivi, dobbiamo liberare anche i morti. È una lezione basilare per questo tempo di confusione e di guerra. Modernità vuol dire 'saper scegliere il proprio passato', e non credere che coincida con la novità dei mercati. Il motto di Rimbaud, 'bisogna essere assolutamente moderni', è stato frainteso. Quanto ai trovatori, la loro opera è un messaggio d’amore, una definizione dell’amore. Penso che la poesia inventi la civiltà e che i giochi linguistici trasformino la società. La geografia spirituale occitana è stata cruciale nella mia poetica grazie alla traduzione del Vangelo di San Giovanni.

Assai importante è per lei l’aspetto performativo. Ciò la avvicina alla beat generation e ad Allen Ginsberg?

Performance è una parola che rigetto perché appartiene all’arte consumistica della società contemporanea, che non è più un’arte critica o di denuncia. È l’incarnazione dell’ego narcisistico, esatto opposto del Soggetto liberatore. Ho cominciato a fare action artschiacciando i po- modori, mentre recitavo i miei testi. Era un atto di solidarietà verso i popoli latinoamericani che hanno 'inventato' questo frutto, la cui carne è simile a quella della loro repressione. Ho intenzione di continuare tale gesto iniziato più di quarant’anni fa, rivolgendo il pensiero agli immigrati in Italia che lavorano nelle campagne come schiavi... L’incontro con Allen Ginsberg è stato decisivo nella mia vita. Ho conosciuto molti beatnik: Anne Waldman, Gregory Corso, John Giorno, ma anche William S. Burroughs. Non dimentichiamo che la moderna poesia francese nasce con la scrittura di Mallarmé, mentre quella americana con l’oralità ritmica di Whitman. Seguendo questa linea e la tradizione orale occitana, ho avuto accesso a una libertà che non era à la page nella Francia letteraria. Allen e io abbiamo registrato un disco assieme, e non abbiamo fatto prove perché l’improvvisazione è un elemento fondamentale grazie alla voce e al ritmo. La poesia è un fiore che, quando lo tiri su nel deserto, ti accorgi che ha radici lunghe migliaia di chilometri: l’haiku, l’oggettivismo americano o, appunto, la beat generation... Il mio impegno sociale e quello della beatsi sono uniti per un periodo della mia vita. Ricordo l’omaggio reso ai trovatori con Allen davanti alla Vergine Nera di Tolosa.

In una circostanza ha detto: «La poesia è il pane dei poveri e quando si cammina, si cammina come i poveri». È una forma di attenzione politica?

Una poesia impegnata è sempre esistita. Dante stesso era un poeta engagé. In America Latina, quando ero con Ernesto Cardenal, la domanda non si poneva neppure. I nostri testi erano armi d’amore, un modo per conservare le parole accanto a quelle dei movimenti di liberazione. La lirica 'politica' è un momento di libertà e di verità, contro chi parla costantemente con la menzogna. Per questo ho scritto Agenda rouge de la résistance chilienne (2014), che ripercorre il mio zelo per il Cile. Provenendo da una famiglia operaia - mio padre era un operaio edile, esiliato dalla Spagna, e mia madre una sarta -, ritengo che la poesia sia il pane di chi non ha niente. Presto la mia voce e la mia penna a coloro a cui è stata tolta la possibilità di scrivere e parlare. Il mondo della politica e quello della poesia non respirano negli stessi ambienti. Ma a volte è necessario schierarsi. I Neruda, i Nâzim Hikmet, i Ghiannis Ritsos sono lì per ricordarcelo. I sistemi totalitari, con la loro sottigliezza repressiva, hanno sempre mostrato orrore per la poesia in tutti i continenti, le società e le culture. Dobbiamo comportarci come Primo Levi che recita a sé stesso la Divina Commedia per sopravvivere.

Le sue opere sono percorse anche da un deciso impeto spirituale...

La poesia è un’esperienza del sacro, benché non sia di moda al giorno d’oggi parlare di essa in tali termini. Ma, come ho detto per l’impegno politico, non si tratta di un’occupazione religiosa in senso stretto, sebbene i due spazi condividano un confine comune. Nondimeno, a mio giudizio, la poesia cessa nel momento in cui non copre più il campo di una spiritualità. Tutte le liriche, anche quando si dichiarano atee, sono momenti insostituibili di un’esperienza dello spirito. La Bibbia non è proprio questo, e cioè un’immensa poesia? Però, è importante non confondere il sacro, il divino e il religioso.

Come vede il fenomeno della slam poetrye dell’instant poetry?

La slam poetryè la modalità che utilizzano le giovani generazioni per articolare vita e linguaggio. Questa modalità accompagna la caduta vertiginosa della letteratura nell’estetica del mercato. Come consiglia Walter Benjamin, bisogna guardare il volto nascosto dell’opera d’arte. La slam poetry può essere una risposta seducente all’impulso della parola nella nostra società; tuttavia, non sfugge a quel capriccio della poesia che è la poetizzazione, o alla diffusa tendenza a credere che poesia e rima siano la stessa cosa. Gli artisti dello slam, se ambiscono a scrivere poesie, devono essere perforatori del mistero dell’esistente, scopritori dello stupore, in dialogo con altri poeti del presente e del passato. I luoghi comuni ritmati, per quanto ammalianti, non arrivano alla poesia, come già ricordava Aristotele, quando notava che si possono scrivere trattati di grammatica in rima. La poesia non è riducibile a niente, e inventa costantemente il suo aspetto.

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