venerdì 7 febbraio 2014
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A quindici anni dalla scomparsa Michel Petrucciani non smette di essere testimone del valore della vita: dentro, e ben oltre, l’arte che l’ha reso famoso. La figura del talentuoso pianista francese, corpo e volto devastati dalla sindrome delle ossa di cristallo che gli impedirono sviluppo e salute, rimane infatti a tutt’oggi punto di riferimento. Umano, però: non certo solo jazzistico, anche se del jazz Petrucciani è stato un gigante. Ma quanto egli sia stato anzitutto esempio di vita emerge da ogni sguardo e ogni parola che gli dedica suo fratello Louis, apprezzato contrabbassista che ha appena voluto rendere pubbliche loro inedite incisioni di fine anni ’80. Due brani di Michel e classici come Someday My Prince Will Come, Autumn Leaves, In A Sentimental Mood o Stella By Starlight, che sottolineano la voglia di Michel Petrucciani di dar valore alla vita sfruttandone i doni. A prescindere dalle apparenze, malgrado il dolore.E Louis oggi non sa parlare di Michel argomentando solo di jazz: neppure mentre ne sta promuovendo un magnifico album postumo. «È stato sostanzialmente un esempio, mi fa ancora da guida. Il fatto è che lui, malato, sapeva sempre trovare il lato positivo delle cose. Sempre. E andare avanti senza mai criticare altri: non gli ho mai sentito dire nulla di negativo su nessuno, nemmeno su persone che magari lo deridevano. Tanto che questo disco, Flashback (L’Autre/Egea), non è solo la voglia di rendere fruibili dai fan i frutti di certi nostri studi insieme, né solo una sintesi del suo linguaggio d’artista. È anche atto d’amore: per continuare a ricordare lui e quanto mi ha dato». Louis non dimentica, ovviamente, il Michel musicista: anzi. «Beh, potrei parlarle per ore del suo lirismo, del rigore, delle armonizzazioni che sapeva costruire. O della sua tecnica, di uno swing perfetto. Ma sono sicuro che non ci fosse stata la musica mio fratello avrebbe lasciato qualcosa in un altro campo. Lui voleva vivere, prima di tutto. L’obiettivo era cercare un senso, capire qualcosa del mondo: da dividere poi con gli altri. Della fama che il piano poteva garantirgli non gli importava nulla». Per Michel Petrucciani fu ovviamente durissimo raggiungere certi livelli di pianismo: soprattutto perché era stato estremamente difficile già riuscire a suonare il piano, per lui. Senza certi marchingegni studiati dal padre, non avrebbe potuto toccare i pedali e al contempo dominare la tastiera. Però la musica fu nel suo caso, soprattutto, occasione di valorizzare i propri talenti: come chiunque di noi è chiamato a fare, in fondo. «Sì. Non era un eroe. Certo, senza musica sarebbe stato tutto più difficile, però fu studiando che riuscì a usare la musica per vivere davvero. Voglio dire: bisogna anche mettersi in gioco. C’è anche fra i disabili chi non osa dar sfogo ai propri talenti, magari per paura o vergogna: eppure ne vale la pena, specie se sono artistici.La musica apre a se stessi e agli altri, il suono trasporta oltre i limiti fisici. Michel suonando trovava serenità e si ricaricava». Malgrado le invidie, che riuscirono a colpire anche uno come Petrucciani… «Io penso che uno così diventerebbe famoso anche ora, che viviamo nel mondo del successo televisivo. Però, come capitò a Michel, in Paesi come gli Stati Uniti. In Francia già allora vincevano le apparenze: il suo handicap era malvisto dai colleghi, e molti dicono ancora che fu la disabilità a renderlo celebre. No! Furono talento e lavoro, unica ricetta che tiene viva la passione per il mestiere scelto. Bisogna però, attenzione, che non si lavori per essere "i migliori". Altrimenti non si raggiunge il cuore di altri e tantomeno un pubblico: e anche questo, Michel può insegnarlo all’oggi». Nel 2014 la famiglia Petrucciani sfrutta il successo (anche postumo) di Michel pure per aiutare chi soffre? C’è anche questo, nell’eredità di Petrucciani? Lo chiediamo a Louis, che con pudore dice: «Certo. È ovvio, siamo sensibili alle persone con disabilità. Però non è facile né scontato, confrontarsi col dolore altrui. In fondo Michel fu un fortunato. A me ancora impressiona, suonare per chi è disabile. Mi costringe all’umiltà, e rispondere alla loro ansia di capire come abbia fatto Michel a vivere normalmente, avendo anche dei figli, mi fa capire quanto anche la mia famiglia abbia saputo donarsi per lui. E per me. Infatti sono orgoglioso del cognome che porto: specie perché mi consente di ricordare Michel parlando a tutti della modestia con cui donava il proprio esempio di vita».
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