sabato 21 maggio 2011
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Mario Pescante alla guida del Comitato promotore delle Olimpiadi di Roma 2020 era la persona più indicata. È vicepresidente del Cio, conosce tutti e chi meglio di lui sa come funzionano certi meccanismi internazionali? È stata la scelta migliore». È questo il commento convinto del sindaco di Roma Gianni Alemanno che stampa un biglietto da visita completo per l’onorevole Pescante. Un uomo di sport internazionale l’ex presidente del Coni, entrato nello sport azzurro fin dai tempi dell’Università.A “Roma 1960”, lei aveva 22 anni. Vogliamo partire da quei Giochi?«Un evento epocale, per me denso di ricordi dolcissimi. Livio Berruti che interrompe il monopolio degli sprinter di colore e mentre taglia per primo il traguardo dei 200 incrocia il volo di una colomba. Un’immagine quasi digitale che ho stampato nella memoria. Così come l’impresa a piedi nudi del “soldatino” etiope Bikila che rimane anche il mio più grande rimpianto...».Perché un rimpianto?«Da modesto mezzofondista quale ero allora, la maratona era la gara olimpica alla quale più di ogni altra desideravo assistere e invece rimasi intruppato nel traffico di Roma. Bloccato dalla polizia, quando arrivai al traguardo, Bikila aveva vinto l’oro da un pezzo».Quelle romane, restano ancora le ultime “Olimpiadi umane”?«Sicuro. Al di là dell’umanità forte che si respirava in quella Roma romantica, cinematografica, piena di set naturali (Via Appia, il Colosseo, le Terme di Caracalla...) ci sono tre immagini che danno il senso della profonda eticità di quei Giochi. Gli atleti delle due Germanie non ancora divise dal muro di Berlino. In un’epoca di forti tensioni razziste negli Stati Uniti, il portabandiera della squadra americana, Rafer Johnson, era un atleta di colore, così come quello che a Roma diventò il “re del pugilato”, Cassius Clay».Manca la terza immagine.«Quella della cerimonia di chiusura. La fiaccola continuò a rimanere simbolicamente accesa sugli spalti dello stadio Olimpico, con i “focaracci” fatti con i giornali. La gente sembrava volere rimanere lì per sempre. A Tokyo, quattro anni dopo al pubblico avevano distribuito le lampadine a pila. Senza accorgercene eravamo già entrati nell’era tecnologica».Oggi che siamo nell’era ipertecnologica, Roma come si presenta?«Certo è una città che non può più vivere solo di nostalgie da “dolce vita” e di meraviglie archeologiche da cartolina. Il fascino del tramonto romano e le bellezze architettoniche servono, ma ora Roma deve calarsi al meglio nella contemporaneità ed impegnarsi in quella che io considero la vera sfida del Terzo Millennio: le Olimpiadi».Per organizzare un’Olimpiade servono impianti adeguati. Il presidente del Coni Gianni Petrucci ha detto che Roma dispone già del 70% di quelli necessari per il 2020.«Petrucci dice una cosa reale. Ma gli impianti olimpici di Roma di fatto sono rimasti anche quelli di 50 anni fa, così come le aree sviluppate per i Giochi del ’60, vedi Corso Francia, l’Eur, Tre Fontane. Serviranno più interventi di ammodernamento, piuttosto che nuove opere mirabolanti o megastadi a nido d’uccello. Sul versante degli sport acquatici poi siamo già coperti dall’ottima impiantistica dei Mondiali di nuoto del 2009».Però si parla di costi importanti, solo per la fase preliminare della promozione.«La nuova filosofia del Cio è quella di evitare “gigantismi” e spese inutili anche in questa fase. Per quanto riguarda la nostra promozione, da qui al 7 settembre 2013 quando a Buenos Aires verrà designata la sede dei Giochi del 2020, dovremo presentare la candidatura in oltre 50 congressi internazionali. Per questo serve un finanziamento intorno ai 50-60 milioni di dollari, ma io spero di scendere sotto i 40 milioni di euro».Nel 2006 è riuscito a portare i Giochi invernali a Torino, un’impresa più o meno ardua di questa?«A Torino fu più facile, specie dopo che Atene aveva bruciato Roma per le Olimpiadi del 2004. Si trattò di un debito saldato e poi la concorrenza più forte allora era rimasta Sion. Torino però rimane un punto di partenza di cui fregiarsi dinanzi al Cio, al quale abbiamo dimostrato che è possibile organizzare Giochi invernali in aree metropolitane. Vancouver ci è subito venuta dietro».Sta dicendo che è profondamente mutata la geopolitica dello sport?«Da Mosca ’80, a Rio de Janeiro 2016, credo che il filo comune resti ancora l’idea dei Giochi come “momento di apparizione” per la spendibilità di un governo su scala planetaria. Dal G8 però si è passati al G20. Le Olimpiadi di Pechino e le prossime di Rio, i Mondiali di calcio del Sudafrica e quelli assegnati al Qatar nel 2018, dicono che quei paesi che un tempo definivamo terzomondisti o più gentilmente “emergenti”, sono emersi e alla grande. Adesso siamo noi gli “immersi”, l’Europa e l’Occidente in generale devono rimettersi a correre».Da chi dovrà guardarsi le spalle Roma per vincere la sua sfida olimpica?«Tokyo è la più temibile. Attenzione a Durban, perché i Mondiali di calcio hanno dimostrato che oltre il Kruger Park il Sudafrica ha saputo mostrare impianti modernissimi e un’organizzazione impeccabile. L’India che primeggia tra i paesi emersi, potrebbe giocarsi la carta Mumbai. Delle europee c’è da tenere d’occhio Parigi e, se si candida, Istanbul».Molti pensano che Roma potrebbe essere bocciata per i tristi riflessi internazionali della politica italiana.«Il Paese reale io lo ritrovo nei pescatori di Lampedusa che si tuffano in mare per salvare dei poveri clandestini che stavano annegando. Questi sono i riflessi dell’Italia che al Cio posso assicurare vedono ed apprezzano, moltissimo».Come mai lei ha accettato un incarico che Luca Cordero di Montezemolo ha declinato?«Montezemolo è un imprenditore e come tale ha posto dei quesiti essenziali ai quali non ha avuto le risposte che chiedeva. Io con la mia formazione di politico dello sport vado con passione alla ricerca di quelle risposte. Per questo è stato costituito un gruppo di ricerca universitario, esterno al Coni e la Commissione di Fattibilità è diretta dal professor Marco Fortis, docente di Economia industriale alla Cattolica di Milano. Lo stato di salute finanziario lo capiremo strada facendo».E lo stato di salute dello sport italiano qual è?«Gianni Brera, diceva che lo sport di questo Paese sarebbe diventato davvero grande quando avrebbero cominciato a vincere le donne. Oggi lo sport italiano femminile è all’avanguardia. Tant’è che se dovessi scegliere adesso il portabandiera di Roma 2020 non avrei dubbi, Federica Pellegrini».Ma forse per quella data lì, la Pellegrini avrà già smesso da un pezzo di nuotare.«Non è detto...- sorride - . Prima riportiamo le Olimpiadi a Roma, poi nel frattempo una Pellegrini che faccia da portabandiera l’avremo trovata».
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