mercoledì 10 settembre 2014
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​Dalla terrazza del palazzo vescovile il cardinale Gualtiero Bassetti abbraccia con lo sguardo la città che dalla collina scende verso la superstrada. In mano ha il dossier che racconta l’ambizione di Perugia a diventare Capitale europea della cultura nel 2019. Centoquindici pagine che presentano una comunità in crisi d’identità, colpita fin nel profondo dal delitto di Meredith Kercher che dal 2007 ancora la perseguita insieme con quei fatti di cronaca nera che nell’immaginario collettivo l’hanno trasformata da “città delle università” e delle generazioni Erasmus a Gomorra della droga e culla del male di vivere.Certo, se ci si sporge dal davanzale e si osserva piazza IV novembre con la Fontana maggiore, non è difficile intuire che qualcuno fra i ragazzi seduti sulle scalinate della Cattedrale sia uno spacciatore soprattutto se ti rivelano che le dosi vengono nascoste anche ai piedi della statua di Giulio III. «Ogni momento di crisi è sempre un’opportunità perché obbliga a rimettersi in gioco – spiega l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve –. Oggi più che mai è fondamentale ricordare l’insegnamento di Giorgio La Pira. Le città, disse il sindaco di Firenze nel 1955, hanno una loro anima e un loro destino: non sono cumuli occasionali di pietra». Da fiorentino il cardinale cita ancora La Pira. «Occorre ripartire da quelle riserve mai esaurite di beni umani essenziali. La storia e la civiltà di un centro urbano non sono solo le parole che si leggono, ma i fatti che si materializzano sulle strade, sui palazzi, sulle chiese, perfino nei volti delle persone. È indispensabile perciò che tutti si riapproprino della loro città». Magari sostenendola nel sogno di essere per un anno il motore culturale del continente.Una scommessa lanciata dal più letto quotidiano locale, il Corriere dell’Umbria. «Almeno stavolta abbiamo offerto un esempio di buona informazione», scherza il direttore Anna Mossuto. La redazione è «vicino alla Perugina», ripetono tutti dando per scontato che chiunque conosca dove si produce il cioccolato col nome della città. «Era il 2009 – ripercorre Mossuto –. Da Siena ero venuta a sapere della candidatura toscana. Allora ci siamo detti: perché non proporre anche Perugia? Assisi si era già mossa. E sulle nostre pagine suggerimmo il connubio fra Perugia e Assisi che adesso è il fulcro del progetto». Il telefono squilla. «Sono arrivata qui come studente fuori sede – prosegue il direttore –. Perugia aveva una dimensione domestica: ti sentivi a casa».Oggi il capoluogo dell’Umbria, con i suoi 162 mila abitanti, è il simbolo dell’eclisse di una città media che non ha l’attrattiva del piccolo borgo e non può contare sui vantaggi della metropoli. «Da noi la crisi economica morde. Abbiamo un sistema produttivo debole. E i costi che stiamo pagando sono elevati soprattutto in termini di disoccupazione giovanile», spiega Bruno Bracalente, presidente della Fondazione Perugiassisi 2019. La macchina organizzativa che conta centottanta soci, fra enti pubblici, categorie economiche, sigle accademiche, associazioni e persino gruppi sportivi, guida il percorso ribattezzato “Perugia 2019 con i luoghi di Francesco d’Assisi e dell’Umbria”. E le cinque città rivali malignano: hanno richiamato il santo per sfruttare l’onda lunga della popolarità del Papa. «Non so se l’Ue sia sensibile ai temi religiosi – replica Bracalente –. Di sicuro la nostra regione è segnata da una forte spiritualità. Da questo bagaglio possiamo attingere per ridare spessore a un’Europa carente di valori».Nella Fondazione lavorano in dieci. «Ma il presidente lo fa a titolo gratuito», tiene a precisare il professore di statistica con un passato da presidente della Regione in quota Pds e poi Pd. Sulle pareti anche i manifesti che dicono di Perugia in lizza per la Capitale europea dei giovani nel 2017. Il quartier generale, ospitato a Palazzo Danzetta, si trova in pieno centro. E la scelta ha un significato preciso: snodo del dossier è la rinascita del cuore del capoluogo che col titolo europeo vuol tornare a essere la “città delle idee e della conoscenza”. «A Perugia i centri economici e sociali sono ormai le periferie – afferma Bracalente –. Eppure per costruire il futuro serve riandare alle sorgenti civiche e quindi reinventarci il centro storico che si è svuotato tramutandosi in una zona franca per la piccola criminalità».Il sindaco Andrea Romizi preferisce chiamarlo «acropoli», vocabolo caro a chi nasce qui. «Oggi è un po’ la cartina tornasole della città che vive sospesa fra il disagio e la bellezza». Esce da Palazzo dei Priori, il municipio. Sulla facciata scende lo stendardo di “Perugia 2019”. «Facciamo una “vasca” in Corso Vannucci», propone. Ha 35 anni ed è l’uomo di Forza Italia che ha spezzato a sorpresa il monopolio “rosso” della città. «C’è voglia di cambiamento», sostiene. A giugno, subito dopo la sua elezione, è entrato nella sede della Fondazione. «Volevo fugare ogni dubbio sulle sorti della candidatura: ci credo fino in fondo. Abbiamo una ricchezza di istituzioni di alta formazione che poche altre comunità come la nostra hanno: due atenei, l’Accademia di belle arti, il Conservatorio, la Scuola di lingue estere dell’Esercito, la Scuola di giornalismo Rai. Però fanno vita a sé rispetto alla città».La sosta per un aperitivo è al Bar Duomo. Vicino alla macchina del caffè campeggia la sciarpa del Perugia Calcio. «Il 2019 è lontano. Meglio goderci il ritorno della squadra in serie B», punzecchiano i titolari Giulio Belia e Greta Alunni. La sfida targata Europa ha mobilitato in particolare l’associazionismo. «Non siamo una città che si lascia scaldare facilmente – ammette Brancale –. Però un’indagine mostra che tre residenti su quattro conoscono la competizione. E l’evento Saremo capitale ha portato in strada per tre giorni migliaia di persone». Uno degli sfondi è stato l’ex carcere maschile accanto a piazza Partigiani: più di 20 mila metri quadrati dimenticati, a due passi dal centro, che si trasformeranno in un incubatore culturale. «Da spazio di sofferenza diventerà luogo della libertà creativa. E laboratorio dell’innovazione dove protagonisti saranno i giovani con quaranta start up», annuncia il sindaco.L’intento è farne anche un ponte con l’università. «E ce n’è bisogno», dice la scrittrice Clara Sereni. Romana d’origine ma da 23 anni in città, l’autrice che lega il suo nome ai romanzi Il gioco dei regni e Passami il sale è tagliente. «L’approccio con cui si guarda agli studenti è quasi da sfruttamento: paghino gli affitti, magari a nero e per un sottoscala, e non rompano le scatole. Del resto Perugia è strana. Si dice che sia accogliente. Non ti respinge, ma ha sempre una riserva di fondo». Almeno può contare una sua vivacità culturale. «Siamo la città dei Festival», sorride Sereni. Da Umbria jazz alla rassegna internazionale di giornalismo, si tratta di iniziative che «sono indice di positivo fermento», riconosce la scrittrice. E anche di sperimentazione: lo testimoniano persino le scale mobili impiantate già negli anni Settanta dentro la Rocca Paolina ed “esposte” idealmente al Museum of Modern Art di New York come prototipo di un nuovo rapporto urbano fra antico e contemporaneo.Invece gli emblemi delle difficoltà che la città attraversa sono le sue università. Lo Studium ha visto crollare gli iscritti: dai 34 mila nel 2003 ai 25 mila di oggi. «Il calo è comune in tutta Italia – mette le mani avanti il rettore Franco Moriconi –. Però, e lo dico da perugino, qui entrano in ballo anche altri fattori: con la crisi si sono ridotti i fuori sede per i costi che le famiglie non riescono più a sostenere; e le sentenze sparate dai media ci hanno penalizzato». Ma il rettore dell’Università per stranieri, Giovanni Paciullo, avverte: «Forse i nostri atenei hanno parole per situazioni che non ci sono più. Deve essere aggiornata l’offerta formativa e vanno imboccate nuove vie di ricerca».Il suo ufficio si affaccia sul largo dove spicca l’Arco etrusco, sigillo della città assieme alla Fontana gotica davanti al Duomo. È in restauro. Finanzia l’intervento Brunello Cucinelli, il “re del cashmere” col volto da mecenate. «Veniamo da famiglie contadine che ci hanno trasmesso l’arte della custodia. E penso spesso a quello che disse san Francesco recuperando la chiesetta di San Damiano: “Facciamola bella”. Amiamo le nostre pietre sante». Che vantano fra i figli illustri non solo il Poverello ma anche Benedetto da Norcia, patrono d’Europa. «Due sono gli insegnamenti che ci lasciano questi giganti della fede – conclude il cardinale Bassetti –: uno stile di vita che non mette al primo posto l’opulenza ma la dignità umana; e il coraggio di costruire laddove ci sono le macerie, di sperimentare senza paura di fallire. Ed è ciò che Perugia può dire al nostro vecchio e amato continente».

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