sabato 12 agosto 2017
È lo Schindler italiano, dal 1989 iscritto nel memorial dello Yad Vashem per i meriti che ebbe nel mettere in salvo dal nazismo centinaia di ebrei
Giorgio Perlasca. Nel 1989 venne dichiarato Giusto fra le Nazioni

Giorgio Perlasca. Nel 1989 venne dichiarato Giusto fra le Nazioni

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La notizia venne data sbrigativamente su un pugno di quotidiani locali: un italiano, residente a Padova, era stato premiato in Israele per delle azioni compiute durante la seconda guerra mondiale. Qualche riga, niente di più. Ma bastarono quelle poche e generiche informazioni per accendere la curiosità del giornalista Enrico Deaglio che si mise subito alla ricerca di quell’uomo. Quando lo incontrò, nel 1989, si trovò di fronte un uomo alto (solo leggermente piegato dall’età), coi capelli corti e candidi. Un pensionato come tanti che la mattina andava a comperare il giornale e a giocare a carte con gli amici e al pomeriggio accompagnava il nipotino al parco. Ma quello non era un uomo qualsiasi, anzi. Infatti, quel signore di nome Giorgio Perlasca, nella Budapest invasa dai nazisti, era riuscito a salvare migliaia di ebrei fingendosi un console spagnolo. Una storia incredibile. Lui stesso, nel corso degli anni che erano passati, e ne erano passati tanti (più di quaranta!), aveva cominciato a dubitare delle sue azioni. Confessò a Deaglio: «Mi dicevo: ma è vero quello che mi ricordo? Mi mettevo a ragionare e tutto tornava. Non mi sbagliavo. Era veramente successo ».

Già, era veramente successo. E coloro a cui aveva salvato la vita non si erano mai dimenticati di lui. Solo che, finito il conflitto, ognuno aveva dovuto riprendere a vivere, faticosamente. Poi, la cortina di ferro non aveva permesso di ristabilire un contatto. Con la fine della guerra fredda, però, alcune signore ungheresi si erano messe alla ricerca del loro salvatore. Si presentarono a casa sua, un giorno del 1987: «Salve signor Perlasca, siamo quelle ragazzine che ha salvato tanti anni fa». E il passato tornò presente. In pochissimo tempo al Memoriale di Yad Vashem di Gerusalemme arrivarono centinaia di testimonianze e il 23 settembre 1989 Perlasca fu insignito del titolo di Giusto tra le Nazioni.

Seguirono numerosi riconoscimenti da Spagna, Ungheria e Stati Uniti. Soltanto dopo la Repubblica italiana gli conferì la Medaglia d’Oro al merito civile. Un risarcimento, anche se tardivo, perché come ha spiegato Giovanni Minoli (che dedicò a Perlasca una famosa puntata del suo “Mixer”): »Oggi è un eroe nazionale ma è anche un po’ martire, per via del silenzio in cui ha vissuto». Eppure, inizialmente, ci aveva provato a raccontare la sua storia: ma niente. Non interessava o forse sembrava poco credibile. Che la storia di Perlasca non fosse facile da far capire e metabolizzare lo capì bene anche il giornalista australiano Dalbert Hallenstein, che, all’inizio degli anni Novanta, passò una settimana assieme a Perlasca e oggi la ricorda e ci dice: «Ne venne fuori un racconto sorprendente. Tuttavia, gli editori anglofoni non lo vollero pubblicare, era difficile per loro capire questa figura. Perlasca era un uomo affascinante, era la persona giusta per “impersonare” un diplomatico: aveva grande charme e sense of humor. Ricordava con grande affetto i suoi amici ebrei conosciuti prima della guerra, uno, in particolare, era stato il capo della sua brigata in Spagna».

Dal 2003 nel nome di Perlasca opera un’attivissima Fondazione presieduta dal figlio Franco che ci spiega: «Mio padre era nato nel 1910 a Como ma aveva vissuto tutta la sua giovinezza a Maserà, vicino a Padova. Era andato volontario prima in Africa Orientale poi in Spagna. Nel 1938 tornò in Italia e trovò due cose: le Leggi Razziali e l’alleanza con la Germania. Lui, fascista nazionalista, cominciò a essere critico. Lo collocarono in congedo illimitato e poi arrivò la guerra, venne richiamato ma, invece di essere mandato in unità combattenti, lo inviarono nei paesi dell’Est a comprare bestiame per l’Esercito. Scelse come base Budapest in quanto l’Ungheria, fino a quel momento, aveva mantenuto una grande indipendenza nella politica interna». Ma con l’invasione tedesca del marzo 1944 tutto cambiò drasticamente. Il 26 aprile venne disposta la confisca delle case e delle abitazioni degli ebrei e il loro avvio ai campi di sterminio. La situazione precipitò in autunno: il governo venne affidato al capo del partito delle Croci Frecciate. Perlasca, dopo l’armistizio, decidendo di rimanere fedele al Regno d’Italia, è braccato dai nazisti. Si ricorda del foglio rilasciatogli dopo la guerra civile spagnola («Caro Camerata, in qualsiasi parte del mondo ti troverai, rivolgiti alla Spagna») e chiede asilo all’ambasciata. Gli viene rilasciato un passaporto e una cittadinanza fittizia: diventa “Jorge Perlasca”.

Inizia così la sua azione prima al fianco dell’ambasciatore Angel Sanz Briz, poi, quando il rappresentante del governo spagnolo se ne torna in patria, continua auto nominandosi suo sostituto. Nasconde migliaia di ebrei in “case protette” e rilascia loro documenti falsi e salvacondotti. Insomma, “un magnifico impostore”. E non a caso, quando venti anni fa il Mulino pubblicò il diario di Perlasca, il titolo fu L’Impostore. A firmare l’introduzione fu Giovanni Lugaresi che oggi ricorda come Perlasca abbia dato concretezza alle parole dello scrittore francese Léon Bloy: «A stare dalla parte dei perseguitati, non si sbaglia mai». Eppure, nel 2013, anche la sua figura (come sarebbe avvenuto pochi mesi dopo per Palatucci) venne presa di mira. Nel libro En nombre de Franco, l’autore Arcadi Espada per avvalorare la tesi dei salvataggi effettuati dal generalissimo e dai suoi uomini, sminuiva la figura di Perlasca adducendo scuse pretestuose. Ma a dimostrazione dell’azione eroica e disinteressata di Perlasca rimangono centinaia di testimonianze. Per esempio, lo scrittore Giorgio Pressburger ricorda: «Ho scoperto solo dopo quarant’anni che il mio salvacondotto e quelli dei miei genitori li aveva fatti lui e sempre lui aveva reso possibile il transito nel Consolato spagnolo a Budapest per poi essere trasferiti in un’altra “casa protetta”».

Perlasca moriva il 15 agosto di venticinque anni fa. Nonostante il periodo di ferie estive, ai suoi funerali parteciparono più di duemila persone. Il parroco, don Esterino Barbiero, aveva confessato che si era trovato impreparato da quel mare di volti. Ricordò un piccolo aneddoto: «Un giorno passavo sotto casa di Perlasca, lui mi salutò e mi disse: “però voi preti siete dei gran bugiardi”. Gli chiesi il motivo di tanta franchezza. “Perché -– mi rispose – quando uno muore, subito dite che era bravo. Faccia bene attenzione, perché se farà così anche con me, io verrò a tirarle le gambe”». Al racconto di questo aneddoto una sorriso percorse la navata della chiesa di Sant’Alberto Magno. Alla fine della giornata furono contanti i telegrammi arrivati da tutto il mondo, oltre duecento quelli dei “suoi” salvati, che furono messi accanto ai tanti riconoscimenti ricevuti in quegli ultimi anni. Quello a cui teneva di più, però, era una targa che gli avevano regalato gli alunni della scuola elementare del suo quartiere. C’era scritto: “Ad un uomo cui vorremmo assomigliare”.

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