venerdì 7 giugno 2013
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​«Sono al lavoro dalle 17 di martedì, pochi minuti dopo aver appreso di essere stato nominato sovrintendente del Teatro alla Scala». Alexander Pereira è già a Milano. «Entrerò in carica a settembre 2015, ma non bisogna perdere tempo, quella data è dietro l’angolo tanto più che c’è da disegnare il cartellone della stagione 2015-2016» spiega il manager austriaco in un italiano fluente: «L’ho imparato nei dodici anni di lavoro all’Olivetti, quando vendevo sportelli automatici alle banche, ma già ero appassionato di musica».Avrebbe potuto tornare in Italia già nel 2005, dopo l’addio di Riccardo Muti alla Scala.Venni contattato, ma ho dovuto rinunciare per la parola data a Zurigo. Il governo aveva deciso di tagliare il budget dell’Opernhaus di due milioni e mezzo di franchi, minacciai di salutarli se non li avessero ripristinati. Lo fecero nel giro di una notte e a quel punto non potevo più andarmene.Anche questa volta il suo era il nome più quotato, ma se lo aspettava?Ci speravo. E oggi sono felice di questa nomina: spero di essere all’altezza di quello che Milano si aspetta da me. A fine gennaio sono stato contattato dalla Scala per verificare la mia disponibilità. E in quell’occasione ho inviato il mio curriculum. Ho fatto prima del tempo quello che avrebbe poi richiesto il bando del sindaco.Da dove inizierà il suo lavoro?Dall’ascolto. Fondamentale per capire i meccanismi, le aspettative e le esigenze del teatro. Ascolterò i lavoratori, i loro problemi e le loro idee: solo dopo metterò in atto le mie scelte.Sul tavolo, però, ce ne sono di urgenti, prima fra tutte quella del direttore musicale.Questione di fondamentale importanza, dobbiamo trovarlo il più presto possibile perché è un’esigenza per il teatro. Sarà sicuramente italiano, questo è certo. E sarà sicuramente un musicista con il quale ho avuto modo di collaborare in questi anni perché è fondamentale che ci sia sintonia per realizzare progetti artistici validi. Nomi non ne faccio. Ma a breve lo saprete: non posso permettermi il lusso di aspettare un anno prima di sceglierlo.Altra questione è quella del direttore artistico. Ne nominerà uno o ricoprirà lei questo ruolo?Vengo dall’esperienza del Nord Europa dove le figure di sovrintendente e direttore artistico coincidono. La mia forza – e penso che sia anche uno dei motivi per cui sono stato chiamato a Milano – è la rete di rapporti che ho costruito tenendo in prima persona i contatti con gli artisti, creando anche legami di amicizia che mi hanno permesso di scritturarli nei miei cartelloni. A Milano sarò sovrintendente e direttore artistico, proseguendo sulla strada aperta da Lissner. Questo, però, non vuol dire che non avrò un ufficio artistico qualificato e competente che mi affiancherà.Quale il progetto artistico per Milano?La Scala deve essere un festival permanente: grandi progetti, grandi nomi. Cercherò di avere i migliori interpreti del panorama internazionale. Protagonista deve essere la grande tradizione italiana, anche con titoli che si ascoltano raramente.Al Festival di Salisburgo ha introdotto la tradizione dell’«Ouverture spirituelle», una settimana dove protagonista assoluta è la musica sacra. Una via che seguirà anche a Milano?Mi piacerebbe molto, sarebbe giusto in una nazione dove il cattolicesimo è parte del patrimonio sociale e culturale. A Milano poi ci sono splendide chiese dove portare la musica. Mi piacerebbe poi, portare la lirica in periferia coinvolgendo anche i bambini.Anche alla Scala proporrà il "modello Pereira", ovvero recuperare ingenti fondi dagli sponsor?In qualsiasi posto del mondo mi trovi a lavorare il mio approccio è lo stesso. Occorre innanzitutto avere un’idea, un progetto artistico valido coinvolgendo direttori, registi, cantanti. Con in mano dieci, venti, trenta progetti mi reco personalmente dai possibili sponsor a presentare le mie idee e a chiedere loro quale sono disposti a sostenere.Ma il privato chiederà qualcosa in cambio.Assolutamente nulla. In 35 anni di attività come sovrintendente non mi è mai capitato di ricevere richieste particolari in cambio della sponsorizzazione.I fondi privati un giorno sostituiranno i contributi statali?Certo che no, è importante che lo Stato sostenga la cultura, ma oggi si deve creare un sistema di collaborazione dando vita a una nuova solidarietà fra pubblico, aziende e privati.
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