venerdì 23 aprile 2010
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Se l’elaborazione di un «linguaggio credente» e un «progetto organico» sono il compito per casa dei testimoni digitali, il mondo del Web 2.0 contiene delle opportunità che possono aiutarli, purché con coraggio si facciano «ibridare dalla logica della partecipazione». Parola di massmediologi: il primo a disegnare i nuovi scenari digitali e le forme di presenza della Chiesa è stato Francesco Casetti. Introdotto da don Ivan Maffeis, vicedirettore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali della Cei, e da Paolo Bustaffa, direttore dell’agenzia Sir, il direttore del dipartimento di scienza della comunicazione dell’Università Cattolica di Milano – da qualche tempo impegnato anche a Yale – ha risposto all’invito del segretario generale della Cei individuando le opportunità offerte dal mondo del Web 2.0 e dei social network. Se l’obiettivo della Chiesa per il decennio è quello di elaborare una strategia comunicativa missionaria, lo studioso ha ammesso che il mondo di Facebook, Twitter e Chatroulette si limita a offrire «un puro e semplice contatto» perché in quel mondo «ciò che conta è l’accessibilità, il raggiungere e l’essere raggiunti». Poiché, come si sa, una relazione «vera» si basa «su una offerta di sé e insieme su un ascolto reciproco», ecco la prima opportunità: «Non basta usare "intelligentemente" i media della Rete (tv digitale, computer e telefonino), bisogna "rifondarli", facendo sì che essi tornino ad essere strumenti di relazione vera». Dando, ad esempio, un nuovo senso alla gratuità: «La maggior parte degli scambi sul Web – ha sottolineato Casetti – non comportano una transazione di denaro, ma non per questo sono gratuiti: comportano un "pagamento" in svariate forme, comprese quelle del "debito simbolico". Reintrodurre la logica del dono – intercettando le forme di commitment che troviamo sulla Rete – può essere un passo rilevante». Altro «compito a casa»: offrire alla Rete un nuovo senso dell’intimità e riscoprire il vero dialogo. Dobbiamo chiederci, ha detto Casetti, se lo sia quello che si alimenta di linguaggi che si intrecciano, appelli ai sensi, messaggi instabili: «Ci vuole un supplemento di ascolto e di corresponsabilità, siamo chiamati a articolare meglio verità e carità nel nostro linguaggio» ha commentato. Infine, «le reti mediali tendono a presentarsi non come una parte del complesso sistema di relazioni che regge una società, ma come un sostituto»: la realtà sociale, tuttavia, «continua a mantenere una sua concretezza e la dimensione comunicativa acquista senso proprio nella misura in cui si innesta sul nostro essere uomini».Vivere da cristiani la relazione mediale rappresenta insomma un atto di cittadinanza e come tale è stato analizzato da Michele Sorice. Il sociologo della comunicazione e media research della Luiss di Roma è partito dalle trasformazioni storiche: «Oggi non è più importante una appartenenza territoriale ma basta appartenere alla relazione in rete perché la relazione stessa è pregnante. Nel Web 2.0 non ci sono rapporti nuovi: sono sempre la riformulazione di rapporti preesistenti, semplicemente li si rialloca nelle nuove modalità».Prevale la logica Wiki: «Compartecipazione della conoscenza, i soggetti stabiliscono forme di partecipazione sociale fondati sulla condivisione cooperativa, paritaria, orizzontale delle conoscenze». Insomma, «i soggetti che sviluppano le nuove forme di rapporto riformulano anche la cittadinanza» e cambia il concetto stesso di partecipazione sociale: non basta garantire neppure l’accesso ai media, è richiesta la possibilità di «produrre un feedback» attraverso i contenuti che ciascuno produce. Questo, in realtà, è anche lo spartiacque tra realtà e illusione: «Si dice che si crea una comunità in cui tutti si è connessi, ma in realtà si è solo connessi, soli e connessi». Il rischio delle nuove forme di relazione è «anche l’opportunità» per Sorice, il quale ha consigliato ai cattolici di «entrare con coraggio» in questo mondo «per farci ibridare dalla logica della partecipazione».
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