mercoledì 8 febbraio 2023
Di lui sono state evidenziate le vicende amorose e familiari, i modi poco generosi con gli allievi e soprattutto la compromissione con il nazismo. Ma la sua fu una vita ordinaria
Il filosofo Martin Heidegger (1889-1976)

Il filosofo Martin Heidegger (1889-1976) - archivio

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Anticipiamo un brano dell’introduzione scritta da Adriano Fabris per il volume da lui curato Heidegger. Una guida (Carocci, pagine 332, euro 29,00). Il volume parte dal presupposto che oggi sia opportuno riconsiderare, al di là delle controversie sulla sua biografia, la riflessione sul pensatore tedesco nelle sue articolazioni e alla luce della documentazione disponibile. Cioè, come suggeriva Hans Georg Gadamer, tornare a «sillabare Heidegger». A questo scopo i diversi capitoli del libro presentano i principali argomenti della filosofia heideggeriana: dalla fenomenologia all’ermeneutica, dall’ontologia al “pensiero dell’Ereignis”, dalle meditazioni su arte e poesia a quelle su tecnica ed ecologia, fino al legame con il cristianesimo. I contributi sono dei maggiori specialisti italiani del filosofo: Adriano Ardovino, Stefano Bancalari, Francesco Camera, Annalisa Caputo, Virgilio Cesarone, Carmine Di Martino, Costantino Esposito, Aldo Magris, Eugenio Mazzarella e Giusi Strummiello.

Iniziamo ora a parlare della biografia di Heidegger. Si tratta di una biografia che, come nel caso della maggior parte dei filosofi, s’intreccia strettamente con il suo pensiero e con i suoi scritti. Tuttavia, a differenza di quanto accade per altri autori, in Heidegger la vita non viene assorbita totalmente nell’opera: sebbene le sue vicende, almeno a un primo sguardo, non siano per nulla eccezionali. In tempi recenti, parallelamente all’uscita dei vari volumi dell’edizione delle opere, si sono moltiplicate le biografie del nostro autore. Alcune ricostruiscono l’intera sua esistenza, altre si concentrano su aspetti particolari di essa. Tutte hanno l’ambizione di offrire un più adeguato approfondimento del suo pensiero attraverso la descrizione, la contestualizzazione, l’analisi delle vicende personali (...).

Ciò in parte sorprende. Sorprende perché non è in linea con l’intenzione heideggeriana. Infatti, se da una parte è vero, come ho detto, che Heidegger per primo, nelle forme dell’autointerpretazione, ritorna su alcuni momenti biografici, dall’altra parte proprio lui sembra non dare peso, nel caso dei pensatori che studia, alle vicende della loro vita. All’inizio di un corso dedicato ad Aristotele nei primi anni Venti, per esempio, egli liquidò l’inquadramento biografico preliminare dello Stagirita, usuale a fini didattici, con le parole: « Nacque quel tal giorno, lavorò e morì». Perché invece, nel suo caso, il riferimento biografico non solo risulta così insistito, non solo è ritenuto, nel bene e nel male, tanto importante per lo studio del suo pensiero, ma mira a scoprire aspetti della sua vita, anche privata, che vanno ben oltre l’ufficialità? Forse anzitutto perché, seguendo questa strada, è possibile trovare un comodo e scontato filo conduttore per una ricostruzione complessiva dell’opera (...).

La vita di Heidegger non è stata affatto avventurosa o speciale. È stata la vita di un professore universitario di umili origini, legato al contesto provinciale in cui era nato e cresciuto, le cui esperienze sono state condivise da moltissimi suoi contemporanei. Si tratta davvero di «una vita tedesca », come recita il sottotitolo di una delle biografie a lui dedicate (Jäger, 2021): una vita plasmata da due guerre mondiali e da un costante impegno lavorativo sul piano della ricerca filosofica. Per ovviare all’interesse altalenante del grande pubblico, conseguenza di questa normalità, è stato necessario allora creare un “caso Heidegger”. O, meglio, una serie di “casi”, che si sono succeduti negli ultimi decenni e che hanno tenuta desta l’attenzione sul suo pensiero e sulla pubblicazione delle sue opere. E dunque ampio spazio è stato dedicato al suo rapporto amoroso con la giovane Hannah Arendt (...) e con altre amanti, al fatto che il secondo figlio, Hermann, non era propriamente suo, a certi comportamenti, a volte poco generosi, nei confronti degli allievi (...), agli episodi di depressione di cui è caduto preda (...).

A tutto ciò ha dato alimento la pubblicazione di parte del vasto epistolario. C’è tuttavia un aspetto della biografia di Heidegger che ha suscitato e continua a suscitare vaste polemiche. Si tratta del suo impegno come rettore dell’Università di Freiburg im Breisgau e della sua adesione al nazismo. Non c’è solo il fatto che egli, come la maggior parte dei tedeschi di quel periodo, ha aderito al partito nazionalsocialista, né che di questo movimento ha accolto certe scelte di fondo, sostenendo ad esempio una determinata collocazione della Germania, tanto geopolitica quanto culturale, alternativa sia al capitalismo tecnocratico americano, sia al comunismo reale dell’Unione Sovietica. C’è invece, e soprattutto, il suo aver condiviso posizioni antisemite, giungendo a manifestare giudizi inaccettabili nei confronti degli ebrei, oltre che su varie categorie di persone. C’è il suo aver elaborato specifiche idee sulle vicende in cui era coinvolto inserendole all’interno di uno scenario filosofico che alla fine lo esimeva dall’as-sumersi le proprie responsabilità. Si tratta, in sintesi, del suo aver trasformato la filosofia in una mera ideologia. Ecco allora perché, da parte di molti studiosi, si è insistito e si continua a insistere sulla biografia di Heidegger.

Non solo, come dicevo, per la comodità di avere un filo conduttore unitario che attraversi il suo pensiero. Non solo per il permanere, sullo sfondo, di una concezione alquanto rozza che assume implicitamente la corrispondenza fra pensiero e vita: per cui il pensiero sarebbe l’espressione della biografia e risulterebbe da quest’ultima spiegato. Ma soprattutto perché ciò dà l’occasione di giudicare l’uomo e il filosofo. Perché si è ritenuto e si ritiene che un pensatore come Heidegger non avrebbe dovuto fare le scelte che ha fatto. E dunque a Heidegger, proprio perché si tratta di Heidegger, non si può perdonare (Jankélévitch. 1987). Anzi: si deve rigettare l’intera sua riflessione – così alcuni hanno sostenuto – perché macchiata da tali scelte. O in alternativa, da un altro punto di vista, proprio la sua biografia di uomo ordinario, visto nelle debolezze della sua quotidianità, consente di ridimensionare l’importanza del suo pensiero. Il giudizio negativo, comunque, non cambia. Entrambi gli approcci, però, sono inadeguati. Muovono o dalla stima assoluta per l’eccezionalità del filosofo, che avrebbe dovuto esprimersi anche nei suoi comportamenti personali, oppure dall’intenzione di sminuire l’intera sua opera, in conseguenza di certe decisioni attestate dalla biografia. In realtà non sempre – anzi, quasi mai – c’è coerenza tra filosofia e vita. Neppure nel caso dei grandi pensatori. Pochi sono infatti coloro che la perseguono programmaticamente e che riescono davvero a realizzarla.

Ciò tuttavia non significa che, se tale coerenza non è riscontrabile, un’intera produzione filosofica debba essere squalificata o, addirittura, lasciata cadere. Un testo, se è davvero originale, se apre nuove strade, possiede infatti un’autonomia che lo svincola dalle condizioni concrete in cui è stato creato, e che permette a esso di rispondere alle esigenze di chi, in tempi di volta in volta diversi, vi si rivolge. Insomma: non tutti i filosofi sono modelli di vita. Magari neppure sono chiamati a esserlo. Ma ciononostante, e forse anche per questo, sono in grado di dirci molto. Ecco perché, con le opportune avvertenze e le necessarie prese di distanza, possiamo e anzi dobbiamo continuare a leggere Heidegger.

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