sabato 11 settembre 2021
Hala Kodmani, esperta di mondo arabo e reporter, ha scritto "La Siria promessa": un libro necessario per comprendere a fondo il presente di un Paese tormentato
Hala Kodmani

Hala Kodmani - Boato

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Una corrispondenza con il padre scomparso da poco come strumento narrativo per aprire un dialogo interiore con paure e speranze per la Siria, tra riflessioni, nostalgie, un velo di cinismo, prospettive mancate e aspettative. Hala Kodmani, esperta di mondo arabo e reporter, ha scritto un libro ( La Siria promessa; Brioschi, pagine 232, euro 18,00, traduzione di Elisabetta Bartuli), necessario per comprendere a fondo il presente di un Paese tormentato, ripercorrendo i passi della sua storia: «In questo libro – racconta in occasione del Festivaletteratura di Mantova – c’è una corrispondenza fittizia tra me e mio padre scomparso. Ho raccontato ciò che accadeva sul campo fin dall’inizio e lui ha risposto. Il contenuto è il primo anno di rivoluzione siriana, nulla di immaginario. Purtroppo da un paio d’anni non c’è più la stessa copertura mediatica, ma il conflitto non è risolto, né terminato. Non ci sono più grandi battaglie, ma una pericolosa stasi e il regime non è intenzionato a raccontare ciò che accade, perciò è sempre più difficile scrivere».

La scrittura ha avuto una funzione importante?

Dentro questo libro la scrittura narrativa permette un procedere più emotivo, sono coinvolta a livello affettivo, dichiaro paure e desideri per la situazione in Siria.

Paure e desideri che vivono però un certo cinismo...

Le paure si riferiscono a quanto succede e quanto successo, mentre le aspirazioni sono fallite. I desideri sono sempre gli stessi: eliminare la corruzione, giustizia sociale, ma le persone che dovevano portare avanti questi desideri non ci sono più, quindi non c’è più la speranza di prima. All’inizio non si pensava il regime potesse passare un certo limite, ma l’ha fatto, ha ucciso famiglie, ci sono stati bombardamenti, e non si pensava l’Occidente permettesse tutto ciò, ma è accaduto.

E il panarabismo?

Apparteneva agli ideali della generazione di mio padre. Ora ci sono altre visioni. Quel progetto ha rappresentato un movimento per rivedere il sistema imposto e aspirava a unire il mondo arabo. Un’idea che vediamo attuarsi in Europa ed è fallita nel mondo arabo perché le dittature si concentravano più che altro sulla perpetuazione del potere, tradendo gli ideali alla base del movimento.

Quali le prospettive attuali per il Paese?

Molti vanno via, chi sopravvive ha vita dura, le risorse sono poche e nelle mani di pochi vicino al potere. Il 70% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e spesso sopravvive solo grazie agli aiuti di organizzazioni umanitarie. Il timore è che ci sia una disgregazione demografica della società siriana in esilio. Alcuni sono in Turchia, altri in Libano o Europa. C’è disgregazione e per quanto riguarda il futuro ci sono attori importanti a livello politico, economico e territoriale da tenere in considerazione: si tratta di Russia, Iran e Turchia. Ora le persone pensano alla propria situazione più che a un progetto per il Paese, ma questo progetto ci sarà e partirà dalle persone con capacità che al momento cercano di sopravvivere.

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