sabato 22 marzo 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
​Nella notte un autobus sbanda, esce di strada, prende fuoco. Nella notte per questo terribile incidente una donna incinta muore, una ragazza si salva, mentre altrove, ma non troppo, un cabarettista perde la voglia di vivere e un poliziotto ne cerca una nuova, di vita, ma non in meglio. Sono delle singolari circostanze a influenzare i loro destini, pochi minuti di separazione nel corso dei quali molti sentimenti contrapposti esplodono in modo irreparabile. Nottetempo è il giusto titolo scelto dal napoletano Francesco Prisco per il suo esordio alla regia. Il film sarà nelle sale il 3 aprile, con protagonista Giorgio Pasotti, in uno degli anni più impegnativi della sua carriera. «Un periodo stupendo – confessa l’attore – per una serie di fortunatissime coincidenze. Usciranno ben otto film miei, di cui sei al cinema, il 10 aprile anche Un matrimonio da favola di Carlo Vanzina, e due in televisione: Era santo, era uomo, dedicato alla passione per la montagna di Giovanni Paolo II, in cui interpreto il ruolo di Lino Zani, la sua guida alpina; A testa alta, un omaggio ai duecento anni di fondazione dell’Arma dei Carabinieri con un episodio dimenticato, quello dei martiri di Fiesole, avvenuto nell’agosto del 1944. Nel frattempo è pure arrivato l’Oscar per la Grande bellezza: recitare, anche se in una piccolissima parte, in un film che vince il maggior riconoscimento mondiale, per un attore è sempre una gioia immensa».Mentre è un vero protagonista il poliziotto Matteo di «Nottetempo». Un uomo sospeso tra il bene e il male.«Il mio personaggio è quello di un poliziotto nella vita professionale e un rugbista in quella privata, due lavori che di base dovrebbero rappresentare la legge e i valori dello sport e della sicurezza, ma per i fatti che accadono nel film lui diventa, invece, una persona crudele, meschina, prepotente, alla quale si possono davvero concedere pochi alibi».Matteo è anche un padre che vive una situazione critica.«Ha abbandonato il figlio per una repulsione della paternità o semplicemente per aver avuto paura di assumere nuove responsabilità. Cerca di riappropriarsi della propria vita e della famiglia riscattando un onore perduto, ma il suo tentativo risulta vano e doloroso. È ovvio che questo cordone ombelicale che Matteo ha tagliato con la compagna e il figlio non si è mai del tutto reciso, in lui un sentimento rimane, ma non ha la meglio sul suo carattere».A proposito di paternità, lei è lo sceneggiatore di «Mio papà» di Giulio Base.«Ho scritto questa sceneggiatura perché è un altro lato della paternità che mi sta molto a cuore. Purtroppo le famiglie tradizionali, come quella in cui io sono cresciuto, stanno velocemente scomparendo dando vita a nuove forme, le cosiddette famiglie allargate, che generano situazioni molto complesse, a partire dalla convivenza con figli che non sono tuoi. Cercare di muoversi in uno spazio che non è ben definito è difficilissimo, mi interessava capire fin dove ci si può spingere nei sentimenti nei confronti di questi figli che hanno il diritto di avere dei genitori che li amano e li proteggono». In autunno, lei sarà anche protagonista di un film che segna il suo debutto alla regia, «Io, Arlecchino». Questa volta si mette dalla parte di un figlio, mentre il padre è Roberto Herlitzka, un anziano attore che è stato un grande Arlecchino.«Da bergamasco, tenevo tantissimo a raccontare la storia di questa maschera che non è mai stata portata al cinema. Volevo all’inizio fare un film in costume, poi sulla commedia dell’arte: ma io volevo raccontare una storia moderna e attuale nella quale ci fosse la maschera di Arlecchino. Sono ripiombato in un rapporto tra un padre e un figlio che vivono in modo diametralmente opposto, ma sono uniti da una tradizione culturale e da un luogo di origine, Bergamo. Attraverso gli ambienti e  la natura che li circondano e la comune passione per il teatro, troveranno il modo per riconciliarsi».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: