domenica 12 novembre 2023
L’attore bergamasco da domenica sera su Rai 1è il medico della serie “Lea e i suoi figli”. «Interpreto un padre goffo in cui molti si rivedranno. Oggi è difficile essere genitore»
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Dopo il successo dello scorso anno di "Lea Un nuovo giorno", arriva domenica sera su Rai1 Lea I nostri figli¸ seconda stagione della serie tv (targata Rai Fiction e Banijay Studios Italy) ambientata nel reparto di pediatria dell’ospedale di Ferrara e interpretata da Anna Valle e Giorgio Pasotti, per la regia di Fabrizio Costa. La storia riprende tre anni dopo con Lea che vive con Arturo (Mehmet Günsür), l’affascinante musicista che le ha fatto scoprire la possibilità di avere la famiglia che ha sempre desiderato, e Marco, il suo ex marito, che oggi è padre separato di una bambina di tre anni: «Rispetto a come lo abbiamo conosciuto, Marco è diventato decisamente più amabile e più umano. Rimane un medico eccezionale ma è anche un padre molto goffo, che arranca, in perenne equilibrio tra le esigenze della figlia e quelle dell’ospedale – anticipa Giorgio Pasotti -. Vedrete nella serie momenti molto divertenti in cui le infermiere si fanno carico della bambina perché lui deve lavorare. Purtroppo i single sono in aumento e sono convinto che tanti uomini ritroveranno in Marco pezzi della loro vita».

A proposito di vita, uno dei primi film in cui ha recitato è stato I piccoli maestri di Daniele Luchetti: quali sono stati i suoi maestri?

Innanzi tutto mio padre che è stato il mio faro, silente ma presente anche quando non c’era. Poi ho avuto la fortuna di incontrare persone molto valide, sia nella mia vita di sportivo con un insegnante che è stato la mia guida nel difficile periodo dell’adolescenza, sia da attore, lavorando con registi come Luchetti, Mario Monicelli, Davide Ferrario o Paolo Sorrentino, solo per citarne alcuni. Ognuno di loro mi ha lasciato qualcosa.

Con Sorrentino ha lavorato ne La grande bellezza. C’è qualcosa che oggi definirebbe in questo modo?

Onestamente oggi faccio fatica a trovare qualcosa che corrisponda a quella definizione. Mi riesce più facile trovare la grande bruttezza: va di moda l’ignoranza, più sei cafone, maleducato, cattivo e feroce contro le donne e contro chiunque e più diventi un riferimento per gli altri, soprattutto per i giovani.

Sta parlando da papà di Maria, una ragazza di quasi quattordici anni…

Sì e penso che oggi sia davvero difficile essere genitore perché devi andare controcorrente rispetto alla società. Quando ero piccolo io era diverso. È vero, vivevo a Bergamo, che è una realtà più piccola di Roma, ed erano altri tempi però il lavoro del genitore era più assistito perché c’era un’educazione civica che aiutava la famiglia. Se da ragazzino buttavo la carta per terra usciva, che so, il bibliotecario che mi conosceva e mi diceva di raccoglierla altrimenti lo avrebbe detto ai miei genitori. L’educazione nasceva anche da lì. Oggi se ti permetti di dire qualcosa a un figlio non tuo, anche se sei un insegnante, rischi di essere denunciato o persino picchiato.

Prima ha citato la violenza contro le donne: lei ha interpretato I nostri figli, dedicato proprio al femminicidio.

È Ia punta dell’iceberg di una società malata, è una tragedia che va affrontata alla radice. C’è un problema educativo perché le società sane si costruiscono dalle fondamenta e non parlo solo di donne: mi sconcerta anche il fatto che ci si giri dall’altra parte mentre un anziano viene derubato. Io penso che dovremmo tutti guardarci allo specchio e responsabilizzarci perché abbiamo preso una piega molto pericolosa.

Il cinema e la televisione possono fare qualcosa?

Non possono, devono. Tutti gli artisti che, in quanto sovraesposti, hanno il potere di trasmettere idee, devono fare qualcosa. Bisogna dire una volta per tutte ai giovani che è sbagliato quello che sentono in alcune canzoni o vedono in quei film che esaltano giovani violenti elevandoli a eroi.

Tornando alla sua filmografia, un altro tema estremamente attuale è quello affrontatoin Soldati di pace.

Quello che sta accadendo è orrendo. Ogni giorno assistiamo a una serie di tragedie umane inaccettabili. Però non se ne può parlare perché, se lo fai, automaticamente ti schieri e vieni giudicato negativamente da qualcuno. Un esempio? Quello che sta succedendo nella Striscia di Gaza è terrificante, un genocidio assoluto ma, incomprensibilmente, accettato da tanti. Certo che è ingiustificabile anche quello che ha fatto Hamas, ci mancherebbe, ma non possiamo andare avanti a chi fa più male all’altro.

Nel 2020, dopo la regia a quattro mani con Matteo Bini di Io, Arlecchino, ha debuttato come regista unico con il film Abbi fede in cui interpretava un sacerdote. Che posto occupa la fede nella sua vita?

Ho una profonda fede e, per questo, ho fatto Abbi fede: non mi piacciono i film che trattano l’argomento in modo edulcorato mentre lì lo abbiamo affrontato con intelligenza, da un’angolazione meno scontata. Personalmente penso che la fede sia qualcosa di molto privato, qualcosa da vivere personalmente e, per questo, sono un praticante distratto. Sono nato a Bergamo che è una città molto cattolica: mio padre è ateo, mia madre molto cattolica, io ho fatto una sintesi...

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