sabato 3 luglio 2010
Il desiderio di comunicare con l'invisibile è una delle razioni delle rinnovata attenzione da parte di molti per i testi dei grandi mistici.
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«Dio non morirà il giorno in cui noi non crederemo più in una divinità personale, ma saremo noi a morire il giorno in cui la nostra vita non sarà più pervasa dallo splendore del miracolo sempre rinnovato, le cui fonti sono oltre ogni ragione». Così Dag Hammarskjöld nel 1950 quando in un Occidente che camminava spedito verso il deserto del secolarismo, si diffondeva l’idea che Dio e la religione fossero cose del passato, inesorabilmente travolte dalla modernità. Era allora l’epoca in cui una parte della cultura, che si autopromuoveva ad avanguardia, teneva fermo che l’ateismo fosse il destino più certo della modernità. Diventava allora difficile pensare ad un atrio dei gentili, perché la notitia Dei pericolava, ben più grave che altrove era l’eclissi di Dio, e l’invocazione al Dio ignoto della coscienza più flebile. Mezzo secolo più tardi si è iniziato a parlare di epoca postsecolare, mentre indietreggia nel passato la tesi di un cammino verso un tempo postreligioso. Il declino o almeno la privatizzazione della religione non sono più certi, ma alta risuona la domanda su come ricominciare a parlare di Dio. L’eclissi di Dio non terminerà se non inizieremo di nuovo ad annunciarlo: come farlo?Questo è il punto centrale in cui ogni equivoco si paga caro, in specie per noi occidentali che abbiamo introiettato i metodi delle scienze, oggettivanti e neutri, che reificano tutto ciò che toccano. Ma Dio non è un oggetto che possa essere misurato da strumenti, né cade sotto la presa di una gnoseologia scientistica. Dio non può farsi noto attraverso la gabbia di acciaio della razionalità strumentale ed i nuovi atei sono troppo convinti di aver ragione per averla veramente: hanno adottato uno schema di conoscenza talmente ristretto da perdere quasi tutta la realtà. Bisogna ripartire dall’esperienza umana basale che nelle sue luci e nelle sue ombre porta significati trascendenti, per riprendere a parlare di lui: esperienza della vita e della morte, dell’amore e degli affetti, del bene e del male, della paternità e della figliolanza. Per ricominciare a parlare di Dio abbiamo bisogno di testimoni affidabili che liberino la nostra anima dal carcere in cui si trova rinchiusa, dall’affanno dell’azione, dallo stordimento dell’inessenziale. Questi testimoni sono i mistici che sulla scorta dell’amicizia con Dio, ce lo fanno sentire vicino. I mistici cristiani vissuti nell’epoca moderna non sono inferiori a quelli fioriti in epoca medievale. Nonostante questa considerazione, non è facile allontanare il sospetto che la cultura e la teologia cristiane, tinte in vario modo di razionalismo o subendone la pressione, non abbiano fatto dall’epoca del Concilio di Trento il dovuto spazio alla mistica e ne abbiano lasciato in sordina il problema per un lungo periodo. L’insistenza della Chiesa e della teologia moderne su quanto era considerato strettamente necessario alla salvezza, in particolare l’elemento etico e i doveri, distinguendolo da quanto veniva ritenuto facoltativo e supererogatorio, ha lasciato un poco in disparte la contemplazione e la via mistica. Sembrava ovvio che bastasse adempiere gli obblighi morali e che la via della sopramorale e della mistica evangelica fossero riservate a pochissimi, e così il richiamo alla perfezione e alla santità. La Chiesa del XX secolo e il Concilio hanno messo fine a questi equivoci, eppure un notevole cammino resta da compiere.L’uomo desidera conoscere Dio, chiamandolo per nome. Nessun desiderio umano è tanto grande come questo e nessuno è più difficile per l’uomo. Dio è uno, nessuno e centomila, una realtà sfuggente e misteriosissima: forse il Nome assoluto, il Nome autentico di Dio lo conosce solo Lui, noi conosciamo i suoi molti nomi e da millenni continuiamo a chiedere come si articoli il suo Vero e Unico Nome. Vi sono certo dei linguaggi non verbali che possono aiutare a "dire Dio", e tra questi la musica con la sua capacità di alludere all’invisibile e allo spirituale. Parlo della grande musica, non della musica prevalente nel contemporaneo, spesso semplice prodotto di consumo, segnata in senso materialistico, in quanto portata ad esprimere solo l’immediatezza delle pulsioni umane più basali. Ma meglio ancora è l’esperienza mistica di Dio che non nasce dallo sforzo dell’uomo ma dalla grazia dello Spirito santo infusa nei nostri cuori. È un’unione d’amore tra l’amato e l’amante, in cui il soggetto umano esperisce le profondità di Dio e ce ne comunica qualcosa, aiutandoci a ricominciare a parlare di Dio. Le scoperte dei mistici su Dio e la vita spirituale non hanno perso il loro significato.Dag Hammarskjöld attingeva ispirazione ai mistici medievali (Eckhart, Taulero, Suso, Caterina da Siena, Giuliana di Norwich), a san Giovanni della Croce, a santa Teresa d’Avila, a L’imitazione di Cristo. Egli tendeva a dimenticare il proprio io e agire come uno strumento di Dio. Scrisse di sé: «La spiegazione di come l’uomo debba vivere una vita di servizio attivo verso la società in completa armonia con se stesso, l’ho trovata negli scritti di quei grandi mistici medievali per i quali "la sottomissione" è stata la via della realizzazione di sé e che hanno trovato nell’"onestà della mente" e nell’ "interiorità" la forza di dire di sì a ogni richiesta che i bisogni del loro prossimo mettevano loro davanti, e di dire sì a qualsiasi destino la vita avesse in serbo per loro». Nel 1954, l’anno dopo quello in cui divenne segretario generale dell’Onu, vergò queste righe: «Possa tutto il mio essere volgersi a tua gloria/ e possa io non disperare mai/ Perché io sono sotto la tua mano/ E in te è ogni forza e bontà». Proprio di questo Dio, vicino e affidabile, si deve ricominciare a parlare.
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