sabato 18 settembre 2021
Il resoconto di Roberto Carnero testimonia il valore del rapporto educativo anche nell’incertezza della pandemia
Parlare di scuola per dare voce al bene nascosto
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Della scuola non si parla mai abbastanza. E anche dalla scuola, se è per questo. Mai come in questo caso il cambio di preposizione è determinante: un conto è discutere di un argomento, un altro farsi testimoni di un’esperienza. Da quasi due anni, come sappiamo, la scuola è tornata a essere tema di dibattito in sede politica, in un intreccio talvolta caotico di istanze che davvero non possono essere ridotte alle polemiche sulla didattica a distanza. Il dato ormai consolidato è che, anche in questo ambito, la pandemia ha contribuito a rendere più evidenti fragilità già radicate nella società e rimaste per troppo tempo a covare sotto l’apparenza della routine. Da qui l’impressione che parlare della scuola non sia difficile, e che parlarne male sia più facile ancora. Proprio per questo c’è bisogno di voci che vengano dalla scuola e che siano capaci di rendere conto di quell’altra quotidianità, troppo spesso misconosciuta, che anche nel pieno dell’emergenza ha continuato a scorrere. Studenti che si impegnano, insegnanti che ascoltano, piccole comunità che provano a riorganizzarsi a dispetto di ogni ostacolo. Non sarà perfetta, ma è la scuola migliore che si possa immaginare quella che Roberto Carnero descrive in La campanella (Editoriale Programma, pagine 96, euro 7,90). «Diario di un anno di scuola in tempo di pandemia», annuncia il sottotitolo, e in effetti si tratta di un libro scritto in presa diretta. I brevi capitoli sono originariamente apparsi sul quotidiano Il Piccolo nella rubrica attraverso la quale l’autore ha accettato di raccontare, un passo per volta, quello che stava accadendo tra banchi e computer. Critico letterario ed editorialista di Avvenire, Carnero è un professore abbastanza particolare. Perché pubblica libri e perfino manuali scolastici, perché si muove con disinvoltura tra le superiori e l’università, perché non rinuncia a studiare i classici e intanto esplora la narrativa contemporanea. Prima di tutto, però, resta un professore. Anzi, un maestro, per adoperare un termine che non casualmente è caro a due dei suoi autori di elezione: Silvio D’Arzo e Pier Paolo Pasolini. Già in un saggio dello scorso anno ( Il bel viaggio, Bompiani) Carnero si era interrogato con passione su che cosa significhi «insegnare letteratura alla generazione Z». Adesso, nella Campanella, ritroviamo lo stesso sguardo partecipe ed equilibrato, che si sofferma sui problemi senza lasciarsene irretire e, più che altro, scova indizi di bene anche nelle situazioni più impensate. Di bene, ripetiamo, e non solo di buone pratiche, per quanto nel libro non manchino osservazioni di ordine più che concreto («Una pandemia va affrontata con realismo, più che con idealismo», annota a un certo punto Carnero). C’è un bene della scuola in sé, che corrisponde al suo essere agenzia educativa e luogo di socializzazione. E c’è un bene specifico della scuola italiana, inclusiva fino all’ostinazione nella sua volontà di non lasciare indietro nessuno, men che meno in un momento drammatico come l’attuale. La campanella è il diario di un insegnante e, di conseguenza, è il diario collettivo dei suoi allievi, Dubbi, paure, slanci e primi amori si susseguono come in filigrana, mentre si ragiona di quale soluzione sia opportuno adottare per evitare di ricorrere nuovamente alla Dad. «Sbagliare una seconda volta sarebbe imperdonabile», scrive Carnero alla vigilia del Natale 2020, fissando sulla carta un sentimento tanto diffuso nell’opinione pubblica quanto poco rappresentato anche a livello mediatico. È la scuola delle ragazze e dei ragazzi che vogliono tornare in classe, che si pongono domande di senso magari camuffate da provocazione («Prof, mi dica una cosa: a che serve il latino?»), che scoprono qualcosa di sé leggendo I promessi sposi e che continuano a cercarsi negli altri romanzi, negli altri libri di volta in volta proposti. Le magagne rimangono, non tutti i fallimenti sono evitati, ma il bene della scuola sta anche in questa bellezza imperfetta. Alla fine, arrivati al termine «di uno degli anni scolastici che si ricordi a memoria d’uomo», la riconoscenza prende la forma di un abbraccio. Nessuna violazione delle norme sanitarie: viene scelto un ragazzo è guarito dal Covid mesi prima e solo a queste condizioni il professore autorizza il gesto simbolico. Che è anche il segno di un congedo. Da quest’anno, infatti, Carnero passa tra i docenti dell’Università di Bologna. Di sicuro ci sarà una campanella anche lì, anche lì ci sarà un po’ di mondo ancora da raccontare.

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